Il fascismo

 


 

 DALLO SQUADRISMO AL FASCISMO

In Italia, Mussolini, ex socialista espulso dal partito per il suo interventismo e presto diventatone oppositore, propugnatore di vaghe idee su un nuovo assetto sociale estraneo al conflitto di classe, fortemente nazionalista, contrario alla debolezza dei governi liberali, divenne l’uomo intorno a cui si concentrarono le attenzioni della piccola borghesia e del capitalismo. Furono soprattutto loro a vedere in Mussolini il difensore dell’ordine sociale, turbato dal sovversivismo socialista e sindacale dell’immediato dopoguerra. 


 

 

Con i Fasci di combattimento Mussolini istituì anche le Squadre d’Azione (1919), corpo paramilitare che si macchiò di atti di violenza nei confronti di esponenti e sedi della sinistra (il 15 aprile 1919 fu devastata la sede dell’“Avanti!”). La borghesia accettava le azioni fasciste come il minore dei mali di fronte al rischio di una rivoluzione proletaria (“biennio rosso”). 

Primo obiettivo di Mussolini fu la legalizzazione del partito: nell’aprile del 1921 fu eletto in Parlamento con 34 compagni grazie a Giolitti che li inserì nelle liste dei blocchi nazionali, varate per contrastare l’ascesa di PSI e PPI. Stipulato un Trattato di pacificazione con le sinistre (3 agosto 1921) per la cessazione delle violenze squadriste, e cambiato nome al movimento (che ormai contava 300 000 iscritti) in Partito Nazionale Fascista (Congresso di Roma, novembre 1921), Mussolini dedicò i suoi sforzi alla conquista del potere, cercando un recupero legalitario del movimento. Caduto il governo Giolitti (giugno 1921), perché le recenti elezioni non gli avevano dato la maggioranza sperata, il regime liberale appariva in piena crisi; anche le sinistre erano divise, tra socialisti massimalisti, comunisti e socialisti unitari. 

 

 

 

Nell’ottobre del 1922 Mussolini ruppe gli indugi. Tra il 24 e il 28 diede ordine alle camicie nere di marciare su Roma.
Il 29 il re gli conferì l’incarico di governo. Egli formò un gabinetto di coalizione con liberali, nazionalisti e popolari; per mantenere i contatti tra il suo partito e il governo, istituì il Gran Consiglio del Fascismo (dicembre 1922). Un anno dopo fece approvare una riforma elettorale (legge Acerbo, 1923), che dopo le elezioni del 1924 gli consentirà il pieno controllo del Parlamento.

 


 

 

Le elezioni, intanto, si erano tenute in un clima di violenza. Giacomo Matteotti, segretario del PSU (il Partito Socialista Unitario nato nel 1922 per iniziativa di Filippo Turati, espulso dal PSI con altri riformisti), che aveva denunciato alla Camera brogli e intimidazioni in campagna elettorale, fu ucciso dai fascisti (10 giugno 1924): per protesta le sinistre si ritirarono dall’assemblea (secessione aventiniana). La vicenda si chiuse il 3 gennaio 1925: Mussolini, ormai certo di avere in pugno il Parlamento, assunse alla Camera la responsabilità dell’accaduto.
 

Il 4 dicembre 1925 furono emanate le cosiddette leggi fascistissime che gli attribuivano ampi poteri, mentre molti oppositori, tra cui Don Sturzo, Nitti ed esponenti di sinistra lasciarono l’Italia minacciati dalle intimidazioni del regime; nel 1926 furono soppressi i giornali antifascisti, sciolti i partiti e istituite apposite località di confino per gli oppositori. I parlamentari non fascisti vennero privati del mandato. 

Fu anche creata una polizia politica (OVRA) e istituito un tribunale speciale per la difesa dello Stato, con esponenti della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (MVSN) come collegio giudicante. Fu restaurata la pena di morte. Il consolidamento del regime si accompagnò a un restringimento costante delle libertà e a un appoggio ai gruppi industriali e agrari; al regime diede il suo appoggio anche la piccola borghesia. 

 

 

 

L’obiettivo di Mussolini fu di fascistizzare lo Stato in ogni suo settore. In politica il sistema elettorale fu riformato all’insegna del plebiscitarismo (1928) per cui gli elettori dovevano solo accettare o rifiutare una lista unica di 400 candidati. Con la Chiesa furono firmati i Patti Lateranensi (11 febbraio 1929) che risolvevano la questione romana.
In economia, al liberismo durato fino al 1925 successe l’interventismo statale a sostegno dell’industria. Nel 1927 venne rivalutata la lira (fu fissata a quota 90 la parità con una sterlina) e dopo la crisi del 1929 si avviarono grandi opere pubbliche.
Per sostenere le imprese nacquero l’Istituto Mobiliare Italiano (IMI, 1931,) e l’Istituto di Ricostruzione Industriale (IRI 1933). Dal 1934 fu proclamata l’autarchia e si diffuse il mito del “duce infallibile”.







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