l'unità d'Italia

 


 

L'UNITA' D'ITALIA 


Il Risorgimento ebbe come esito naturale l’unificazione italiana. Ad essa si arrivò dopo lunghi anni di guerre e tensioni con l’Austria, di polemiche interne al fronte risorgimentale, di sottili giochi diplomatici da parte dello statista piemontese che più di ogni altro si mosse, in campo politico, per conseguire l’unità nazionale: Camillo Benso conte di Cavour. Il lungo cammino verso l’ambita meta iniziò nel 1848, quando gli Stati italiani, trascinati dal re di Sardegna Carlo Alberto e dalla pressione dell’opinione pubblica, si coalizzarono contro l’Austria (Prima Guerra d’Indipendenza) con l’intento di scacciarla dal Lombardo-Veneto. 

Fu un’alleanza poco compatta che venne meno in poco più di un mese: Carlo Alberto fu sconfitto dalle forze austriache e costretto ad abdicare. Suo figlio, Vittorio Emanuele II (1849-1878), ebbe invece fortuna migliore. Grazie all’acume politico di Cavour e all’abilità militare e al patriottismo di Garibaldi e dei suoi uomini, il 17 marzo 1861 fu incoronato re d’Italia.


IL "VENTO" LIBERALE


Quando, nel 1846, ascese al soglio pontificio papa Pio IX (1846- 1878), simpatizzante neoguelfo, in tutta la penisola iniziò a spirare un “vento” nuovo, il “vento” liberale. L’avvento del nuovo papa, infatti, coincise con una serie di riforme nel nome della libertà e della democrazia dapprima nello Stato Pontificio, quindi negli altri Stati Italiani. In questo clima di fiducia lo stesso Pio IX, Carlo Alberto di Savoia e il Granduca di Toscana, Leopoldo II, firmarono i preliminari per l’istituzione di una Lega doganale tra Stato della Chiesa, Regno Sabaudo e Granducato di Toscana (3 novembre 1847). 

Colui che non sembrava propenso ad alcuna concessione, re Ferdinando II delle Due Sicilie, fu costretto dai fatti a compiere il passo più lungo. In seguito ad una rivoluzione interna, infatti, si risolse a concedere una Costituzione (29 gennaio 1848), presto imitato da Carlo Alberto (il 4 marzo il re concesse lo Statuto Albertino), Leopoldo II (15 febbraio) e Pio IX (14 marzo).
 

 

LA PRIMA GUERRA D'INDIPENDENZA 1848

 

La prima Guerra d’Indipendenza italiana scoppiò in seguito alle sollevazioni di Venezia e Milano. Nelle due città del Lombardo-Veneto, il popolo insorse pochi giorni dopo i moti scoppiati a Vienna e che costarono il licenziamento di Metternich. A Venezia la sollevazione (17 marzo) portò alla liberazione dal carcere di Niccolò Tommaseo e Daniele Manin, che istituirono un governo democratico. A Milano si ebbero le 5 giornate (18-23 marzo) che culminarono nella cacciata degli Austriaci comandati dal maresciallo Radetzky: essi si rifugiarono nel quadrilatero compreso tra le fortezze di Verona, Mantova, Legnago e Peschiera.

 

 

A questo punto decise di intervenire Carlo Alberto, spinto a ciò da manifestazioni popolari, dal desiderio di non vedere trionfare i repubblicani e dalla convinzione che fosse giunta l’ora di istituire quel Regno dell’Alta Italia, obiettivo tradizionale della dinastia sabauda. Il 23 marzo entrò in guerra, e
le sue truppe entrarono in una Milano già liberatasi da sola il 26. Intanto, più per la pressione dell’opinione pubblica che per intima convinzione, i sovrani di Granducato di Toscana, Regno delle Due Sicilie e Stato della Chiesa schierarono i propri eserciti al fianco dei Piemontesi. Un’ondata di entusiasmo patriottico percorse la penisola, ma l’atteggiamento di Carlo Alberto, che intese assurgere a leader della coalizione, e il timore di una poderosa reazione austriaca fecero sciogliere prematuramente l’alleanza. 

 


 

Così, visti gli irrilevanti successi militari di Pastrengo e Goito, e la minaccia di scisma religioso da parte asburgica, il papa si ritirò dal conflitto (29 aprile 1848), seguito da Leopoldo II e da Ferdinando II alle prese con una grave rivolta interna.
Per quanto reali fossero tali timori, un’ulteriore ragione per cui la coalizione si disgregò fu l’intenzione dei sovrani italiani di ostacolare i sogni egemonici di Carlo Alberto. Intanto la guerra proseguiva. Volontari toscani rallentarono gli Austriaci a Curtatone e Montanara (29 maggio), mentre l’esercito piemontese si impose a Goito ed espugnò la fortezza di Peschiera (30 maggio). 

 

 


 

I Ducati e Milano (29 maggio), nonché Venezia (4 giugno), furono annessi al Piemonte. Poco dopo, però, gli Austriaci di Radetzky, ottenuti rinforzi, reagirono e a Custoza sconfissero duramente le forze sabaude (23-25 luglio). Il 9 agosto fu siglato l’armistizio. Per l’opposizione austriaca a ogni concessione durante le trattative di pace e per il timore che nelle città di Roma e Firenze, dove nell’autunno 1848 si erano insediati governi democratici cacciando i sovrani (a Roma sorse una Repubblica capeggiata da un triumvirato il cui membro più influente era Mazzini), i repubblicani avessero il sopravvento, nel marzo 1849 Carlo Alberto ruppe la tregua.
 

Il 23 marzo i Sabaudi furono sconfitti a Novara; la sera stessa Carlo Alberto abdicò in favore del figlio, Vittorio Emanuele II (1849-’78). Il giorno dopo fu firmato l’Armistizio di Vignale:

  • parte del Piemonte fu occupata dagli Austriaci, ma il re riuscì a salvare lo Statuto Albertino. 

Il fallimento militare suscitò un’insurrezione a Brescia; a Roma (dove il governo da febbraio era in mano al triumvirato Mazzini, Saffi e Armellini) e a Venezia la resistenza agli Austriaci fu strenua. Roma si arrese il 4 luglio sotto i colpi francesi e napoletani, Venezia – stremata dall’assedio austriaco – il 23 agosto seguente. In Toscana il governo retto da Domenico Guerrazzi e Giuseppe Montanelli era caduto per contrasti interni. Pio IX e Leopoldo II tornarono sui rispettivi troni

 

 LA SECONDA GUERRA D'INDIPENDENZA E LA SPEDIZIONE DEI MILLE 1859-60

Per scacciare gli Austriaci (le relazioni diplomatiche con l’Austria erano state rotte già nel 1857) dal suolo italiano, Cavour pianificò un’alleanza con la Francia. Ma come coinvolgere Napoleone III nell’impresa? L’occasione si presentò nell’estate del 1858. Nel gennaio di quell’anno l’imperatore francese era scampato a un attentato perpetrato ai suoi danni dal democratico Felice Orsini. L’episodio indusse Napoleone III a prendere in considerazione l’esplosività della situazione italiana. 

 

 

 

Di conseguenza, il 20 luglio a Plombières, Napoleone e Cavour s’incontrarono pianificando un accordo che portasse a un nuovo assetto della penisola dopo una guerra con l’Austria. Se ufficialmente i due statisti stabilirono di istituire quattro regni (Alta Italia, Italia Centrale, Stato Pontificio e Italia Meridionale) affidati rispettivamente ai Savoia, a un parente di Napoleone III, al Papa e ai Borbone di Napoli, una volta vinto il conflitto, ognuno di essi ambiva a conseguire obiettivi ben diversi: Napoleone intendeva estendere alla penisola la propria influenza, Cavour a estendere l’egemonia piemontese sugli altri Stati. 

 

 


Subito il Piemonte iniziò a lavorare per indurre l’Austria a muovere guerra: Vienna reagì inviando un ultimatum (23 aprile). Respinto da Cavour il 26 aprile 1859, scoppiò la Seconda Guerra d’Indipendenza. Il comando delle operazioni fu affidato a Napoleone III. La vittoria degli alleati fu fulminea (vittorie di Palestro, 30 maggio, e di Magenta, 4 giugno, San Martino e Solferino, 24 giugno) e provocò l’insurrezione delle regioni centrali dove (grazie alla Società nazionale) si sviluppò una forte corrente annessionistica al Piemonte. Ma Napoleone, preoccupato
per un possibile intervento prussiano e per gli imprevisti esiti rivoluzionari in Italia centrale, pose fine unilateralmente alle ostilità con l’Armistizio di Villafranca (11 luglio 1859) in cui l’Austria cedette la Lombardia alla Francia, la quale l’avrebbe consegnata al Piemonte. 

 

 


Vittorio Emanuele II accettò, Cavour invece si oppose dimettendosi. Ma le pressioni popolari erano sempre più insistenti e diversi plebisciti sancirono la fusione al Piemonte dei Ducati di Parma e di Modena, dell’Emilia e della Toscana (agosto-settembre 1859, marzo 1860). Tornato al governo all’inizio del 1860, Cavour perfezionò la cessione della Savoia e di Nizza alla Francia, come pattuito a Plombières, e procedette nelle annessioni della Toscana e dell’Emilia. La via per annettere allo Stato Sabaudo il sud, aperta dall’iniziativa dei democratici, e il centro partiva dalla Sicilia. 

 

 

 

Su proposta del Partito d’azione di Mazzini (dal genovese venne il progetto di una spedizione nel sud), infatti, Garibaldi accettò di guidare un’impresa che dalla Sicilia risalisse la penisola per liberarla promettendo, nel contempo, fedeltà alla monarchia. Alla testa di circa mille volontari, partì da Quarto al comando delle navi Piemonte e Lombardo tra il 5 e il 6 maggio 1860

 

 


 

L’11 sbarcò a Marsala approdando in un Regno delle Due Sicilie in cui re Francesco II (1859-60) non fu capace di gestire la difficile situazione ereditata dal padre. Tra l’entusiasmo della folla e con minimo sforzo, Garibaldi espugnò tutta l’isola (battaglia di Milazzo, 20 luglio). In quei giorni si ebbero acute tensioni con Cavour che temeva un’influenza mazziniana e repubblicana sul condottiero: questi, comunque, iniziò la sua marcia verso nord. Sbarcato in Calabria il 20 agosto, il 7 settembre entrò a Napoli accolto trionfalmente. Cavour, sempre più preoccupato e sostenuto da Napoleone, inviò truppe nello Stato Pontificio occupando Marche e Umbria (11 settembre). 

 

 

 

 

L’1 e 2 ottobre Garibaldi ottenne la sua più grande vittoria militare nella battaglia del Volturno, mentre il 3 soldati piemontesi puntarono verso sud con il re, deciso a imporre la propria sovranità sulle regioni conquistate. Garibaldi, fedele alle promesse, accettò la situazione tanto che, incontratosi con Vittorio Emanuele II a Teano il 26 ottobre, acconsentì al passaggio dell’amministrazione dei territori annessi alle autorità sabaude. Tra ottobre e novembre plebisciti sancirono l’annessione al Piemonte del Regno delle Due Sicilie e di Marche e Umbria. Il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele II fu proclamato dal Parlamento nazionale re d’Italia.

 

 

 

LA TERZA GUERRA D'INDIPENDENZA 1866-1870

 

 Quando il 1 giugno 1866 l’Austria chiede che la Confederazione germanica (da lei controllata) risolva la questione relativa al controllo dei ducati danesi, la Prussia invade l’Holstein. Il 14 giugno l’Austria mobilita l’esercito della Confederazione germanica. Il 15 giugno la Prussia esce dalla Confederazione germanica e invade la Sassonia, l’Hannover e l’Assia (alleati dell’Austria). Essendo ormai scoppiata la guerra austro-prussiana, il 20 giugno l’Italia dichiara guerra all’Austria. Il conflitto che nel contesto del Risorgimento italiano prende il nome di “terza guerra di indipendenza”, nel contesto europeo altro non è che il fronte meridionale della guerra austro-prusso-italiana. All’inizio della guerra l’Italia conta su circa 200.000 fanti e 10.000 cavalleggeri, raggruppati in quattro corpi d’armata, di cui tre schierati sul Mincio al comando di Alfonso Lamarmora e uno schierato sul Po al comando di Enrico Cialdini; conta inoltre su circa 40.000 volontari al comando di Giuseppe Garibaldi.

 

 

 

Invece l’Austria, che ha cercato di sopperire ai problemi emersi durante la Seconda guerra di indipendenza, potenziando l’artiglieria e la cavalleria, sul fronte meridionale può contare su circa 190.000 uomini, di cui però vengono effettivamente schierati solo 60.000 fanti, 3.000 cavalleggeri e 10.000 combattenti provenienti dai presidii delle fortezze del “quadrilatero” di Peschiera, Mantova, Verona e Legnago.

 

L’offensiva terrestre e la sconfitta a Custoza

 

Nelle intenzioni di Bismarck, la Prussia avrebbe dovuto puntare direttamente su Vienna mentre l’Italia si sarebbe dovuta dirigere a Padova e quindi all’Isonzo: in questo modo l’Austria sarebbe stata minacciata sui due fronti principali contemporaneamente, oltre che su fronti secondari come in Dalmazia, con l’intervento dei volontari di Garibaldi, o come in Ungheria, dove si intendeva provocare una rivolta. L’Italia non riesce tuttavia a stare al passo dell’alleato, sia per la sua debolezza militare, sia perché Lamarmora e Cialdini, incontratisi a Bologna poco prima dell’inizio degli scontri, non riescono a coordinare l’intervento delle divisioni schierate rispettivamente sul Mincio e sul Po.

Il 23 giugno Lamarmora oltrepassa il Mincio con due corpi d’armata. Si pensa che le truppe austriache si trovino ancora presso il fiume Adige, mentre esse si trovano già schierate presso il lago di Garda. Il 24 giugno 1866 i due eserciti si incontrano: l’esercito italiano si batte valorosamente, ma sconta una pessima organizzazione e viene aspramente sconfitto nella battaglia di Custoza. Lo stesso 24 giugno le truppe di Lamarmora ripiegano dietro il fiume Oglio. Venuto a conoscenza della sconfitta, Cialdini decide di non oltrepassare il Po e di ripiegare dietro il fiume Panaro. A partire dal 29 giugno Cialdini si risolve ad oltrepassare il Po e si addentra in territorio veneto. Negli stessi giorni Garibaldi affronta gli austiaci in Trentino con alterne vicende.

 

 

 


 

 

 

 

Sul fronte settentrionale l’Austria si trova invece in grande difficoltà; dopo aver vinto le resistenze di vari alleati austriaci, la Prussia invade la Boemia e il 3 luglio 1866 sconfigge l’Austria nella battaglia di Sadowa. Diventa allora prioritario per l’Austria chiudere il fronte meridionale per poter schierare tutte le proprie milizie contro il nemico prussiano. Il 4 luglio l’Austria comunica alla Francia la propria intenzione di cedere il Veneto all’Italia e l’8 luglio la Prussia accetta la mediazione francese. A questo punto l’Italia si vede costretta a piegarsi al nuovo scenario internazionale e Cialdini riceve l’ordine di arrestare la propria avanzata in Veneto.

 


 

Dopo la battaglia di Sadowa, grazie alla mediazione francese, il 21 luglio Austria e Prussia pervengono ad una tregua, alla quale il 25 luglio aderisce anche l’Italia. Il 26 luglio Austria e Prussia siglano l’armistizio di Nikolsburg, al quale il 29 luglio aderisce formalmente anche l’Italia, senza tuttavia sottoscriverlo. Visconti Venosta, ministro degli Esteri italiano, avrebbe voluto proseguire il conflitto, ma la recente sconfitta a Lissa e la cessazione delle ostilità fra l’Austria e l’alleato prussiano rendono la cosa impossibile. In quel momento diventa altresì chiaro che l’Italia non avrebbe potuto mantenere il controllo sulla provincia di Trento, benchè Garibaldi l’avesse conquistata militarmente, perché le potenze europee non intendono scalfire l’integrità territoriale dell’Austria. L’11 luglio 1866 Austria e Italia stipulano l’armistizio di Cormons, mentre con il trattato di Praga del 23 agosto Austria e Prussia definiscono i termini della pace .

Il 3 ottobre 1866 con il trattato di Vienna anche Austria e Italia definiscono i termini della pace: l’Austria cede Veneto e Friuli  alla Francia, la quale li avrebbe poi ceduti all’Italia. Il rifiuto dell’Austria di consegnare un territorio direttamente al Regno d’Italia è determinato dal fatto che l’Austria non intende umiliarsi cedendo territori ad uno Stato che aveva sempre sconfitto in battaglia nel corso del conflitto. La cessione viene poi ratificata con un plebiscito a suffragio universale maschile che si svolge tra il 21 e il 22 ottobre. Il 7 novembre Vittorio Emanuele II entra a Venezia.

 

 Le guerre per l'Unità d'Italia


RisorgiTest 1

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I protagonisti dell'Unità