L'Italia dopo l'unità

 

 

DESTRA E SINISTRA STORICA

 

Il Regno d’Italia iniziò nel marzo del 1861 un cammino che, tra mille contraddizioni ne avrebbe fatto uno dei principali Paesi industrializzati d’Europa già alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Subito dopo l’unificazione il Parlamento si divise in Destra e Sinistra, la prima formata in gran parte da seguaci della politica cavouriana, artefice dell’accentramento istituzionale dello Stato e di una politica liberista e finanziariamente rigorosa, la seconda erede del garibaldinismo e del mazzinianesimo risorgimentali, ma fedele alla monarchia, fautrice di una politica laica e democratica.
Alla morte di Cavour le sorti del Paese furono affidate prima a governi di destra (fino al 1876), poi di sinistra (fino alla fine del secolo).
I maggiori progressi, tuttavia, maturarono durante i gabinetti presieduti da Giovanni Giolitti (1892-93, 1903-05, 1906-09, 1911-13)

Le sue scelte, caratterizzate da una svolta liberale e da larghe aperture verso le esigenze delle classi sociali più deboli, ma anche da un’assoluta mancanza di scrupoli nella gestione delle tornate elettorali, segnarono a fondo i primi anni del XX sec., tanto da passare alla storia con il nome di età giolittiana.


L’età della Destra

Nel 1861 il Regno d’Italia contava 26 milioni di abitanti (Veneto compreso). Il 78% della popolazione era analfabeta. La secolare divisione aveva prodotto leggi e regolamenti diversi da Stato a Stato. Nella penisola erano già radicati gli squilibri che avrebbero portato alla questione meridionale: il Nord era più ricco e industrializzato, il Sud povero e arretrato (vigeva ancora un regime di semifeudalesimo).

 


Le ferrovie si sviluppavano per soli 2500 chilometri. L’unificazione territoriale non era ancora terminata, occorreva annettere il Veneto e liberare Roma.
Dopo la morte di Cavour (6 giugno 1861), iniziò l’età della Destra destinata a protrarsi fino al 1876. In questo periodo fu completata l’unificazione. Per risanare il bilancio dello Stato si introdusse il corso forzoso (non convertibilità della moneta in oro) e furono inasprite le imposte indirette (che ricadevano sulle masse popolari). I contadini del Sud furono particolarmente danneggiati: essi dovettero confrontarsi con uno Stato che appesantì il loro carico fiscale e che introdusse la coscrizione militare obbligatoria. Si inasprì così la già preesistente piaga del brigantaggio: bande armate che fino al 1865 convogliarono il malcontento antiunitario in una sorta di guerra civile. 

Comunque, quando nel 1876 la Destra cedette il passo alla Sinistra, essa aveva posto le basi per il successivo sviluppo nazionale. Le ferrovie avevano ormai unito tutto il Paese (8100 km), il bilancio era risanato, il Regno dotato di un unico sistema amministrativo, doganale, legislativo e finanziario.


La Sinistra al potere

Dalla metà degli anni ’70 giovani esponenti della nuova Sinistra, guidati da Agostino Depretis (1813-1887), portavoce degli interessi e delle esigenze di più ampi strati di popolazione, accentuarono il proprio attacco alla Destra. Il 10 ottobre 1875, a Stradella, Depretis tenne un discorso in cui illustrò i propri programmi: riforma tributaria a difesa delle fasce sociali più deboli, istruzione elementare obbligatoria, decentramento amministrativo, fedeltà alla monarchia. 

 


Il 25 marzo 1876 ricevette dal re (che sarebbe morto due anni dopo lasciando il trono a Umberto I, 1878-1901) l’incarico di formare il governo; restò alla guida del Paese quasi ininterrottamente fino al 1887. Iniziatore della politica del trasformismo, Depretis varò riforme dell’istruzione (1877, Legge Coppino) e del sistema elettorale (1882, gli elettori divennero più di 2 milioni); nel 1879 abolì la tassa sul macinato. In politica estera strinse con Austria e Prussia la Triplice Alleanza (20 maggio 1882), in funzione essenzialmente antifrancese, e diede inizio alla politica coloniale (perseguita per consolidare il ruolo internazionale del Paese e per dare modo all’industria di sfruttare le commesse statali). 

 

Il governo Crispi

Nel 1887 la prima esperienza coloniale italiana finì tragicamente a Dogali, in Eritrea, dove 500 soldati furono massacrati dal ras Alula (27 gennaio). Depretis morì il 29 luglio 1887. A lui successe Francesco Crispi (1818-1901) che conservò il potere fino al 1891 e poi dal 1893 al ’96. Ex mazziniano, poi monarchico e fervente nazionalista, fu ammiratore di Bismarck. Varò, tra l’altro, leggi sulla sanità pubblica (1888) e il nuovo Codice Penale Zanardelli (1889) che aboliva la pena di morte e ammetteva
il diritto di sciopero
. In politica estera diede alla Triplice Alleanza un forte significato antifrancese.
 

 

 


I rapporti con la Francia si deteriorano (1888, guerra commerciale). In campo coloniale, siglò il Trattato di Uccialli (2 maggio ’89), per cui l’Etiopia riconosceva all’Italia le conquiste in Eritrea (proclamata colonia il 5 maggio 1890). Il suo primo governo terminò nel ’91 (contrasti sull’inasprimento fiscale). Intanto sul palcoscenico politico italiano si affacciarono nuove formazioni: Filippo Turati  (1857-1932) al Congresso di Genova del 1892 tenne a battesimo il Partito Socialista Italiano. Il governo, nel frattempo, fu affidato ad Antonio Di Rudinì (febbraio ’91-maggio ’92) e quindi a Giovanni Giolitti (maggio ’92-dicembre ’93). 

 


 

Quest’ultimo, di fronte al movimento di protesta (di stampo socialista) dei Fasci siciliani, decise di non intervenire con la forza.
Nel 1893 Giolitti fu costretto alle dimissioni per lo scandalo della Banca Romana, in cui era coinvolto anche Crispi. Fra il consenso generale il re richiamò proprio Crispi al governo, il quale non esitò a impiegare l’esercito e ad applicare la legge marziale contro i Fasci siciliani. Crispi diede nuovo impulso anche alla politica coloniale; dopo la denuncia (1893) del Trattato di Uccialli da parte del Negus Menelik, il 1° marzo 1896 l’esercito italiano si scontrò ad Abba Garimà (Adua) contro le truppe etiopiche riportando una sconfitta che costrinse Crispi alle dimissioni. Il Paese stava sprofondando verso la crisi di fine secolo.