IL PERIODO TRA LE DUE GUERRE
La conclusione della Prima Guerra Mondiale segnò anche la fine di quell’egemonia europea che aveva raggiunto il culmine all’inizio del XX secolo. La leadership dei Paesi industrializzati passò infatti agli Stati Uniti.
Nel 1919, dopo la fine delle ostilità, le economie dei Paesi coinvolti nel conflitto stentavano a riprendersi, tanto più che la guerra aveva provocato la morte di milioni di giovani vite e modificato la geografia politica dell’Europa.
I trattati di pace siglati dopo la conferenza di Parigi, invece di risolvere i contenziosi riuscirono a provocare il malcontento di vincitori e vinti.
In Italia, il mancato accoglimento delle pretese sulla Dalmazia e sui Balcani suscitò il mito della “vittoria mutilata”; la Francia temeva una possibile ripresa dell’imperialismo tedesco; l’Inghilterra osservava il lento declino del suo prestigio internazionale. Le clausole della Pace di Versailles suscitarono un forte risentimento soprattutto in Germania, dove furono interpretate come un diktat volto a marginalizzare il ruolo del Paese tra le grandi potenze.
IN ITALIA
La situazione italiana fino al 1921. Dopo il conflitto mondiale, per le ridotte ricompense territoriali ottenute, si diffuse in Italia il mito della “vittoria mutilata” che portò Gabriele D’Annunzio a occupare Fiume con un’azione spettacolare (12 settembre 1919). Intanto, la situazione interna si complicava anche per la pesante crisi economica. La piccola e media borghesia, a causa della forte inflazione, vedeva dissolvere i propri risparmi.
I contadini (piccoli proprietari e braccianti) erano costretti a lavorare duramente per modesti compensi. La grande borghesia capitalistica si era rafforzata sul piano finanziario. Il proletariato industriale, organizzato nei sindacati, era invece riuscito a strappare miglioramenti salariali. In campo politico, di fronte alla continua ascesa socialista – nonostante le tensioni tra riformisti, massimalisti e comunisti, organizzatisi in partito nel 1921 –, la Chiesa acconsentì alla fondazione di un partito cattolico democratico, il Partito Popolare Italiano (PPI), guidato da Don Luigi Sturzo (1919). Ad esso aderirono i piccoli proprietari contadini che auspicavano la ridistribuzione delle terre a favore della piccola e media proprietà.
Il 23 marzo 1919, con la fondazione dei Fasci di combattimento a opera di Benito Mussolini (ex socialista e direttore de “Il popolo d’Italia”), che incarnavano il malcontento della piccola-borghesia, compariva un movimento destinato a diventare in breve tempo il protagonista del panorama politico italiano.
Entrava in crisi il liberalismo: al governo Orlando, caduto nel giugno 1919 per non aver ottenuto i risultati sperati alla Conferenza di Versailles, fece seguito un gabinetto presieduto da Francesco Saverio Nitti (giugno 1919-giugno 1920), caratterizzato dalle elezioni del novembre 1919 vinte da socialisti (31,6% dei voti) e popolari (20,35%). Nel 1920, Giolitti subentrò a Nitti (giugno 1920-luglio 1921) . Toccò a lui superare la difficile fase del “biennio rosso” e stipulare il Trattato di Rapallo (12 novembre 1920) che pose fine alla vicenda fiumana. L’Italia annetterà Fiume nel 1924.
L'IMPERO BRITANNICO E LA FRANCIA
In Inghilterra Lloyd George ottenne una netta affermazione alle elezioni del dicembre 1918, a cui per la prima volta parteciparono le donne. L’economia inglese, però, non si riprese facilmente. Al primo ministro toccò affrontare difficili questioni sociali e scioperi dei lavoratori. Nel 1921 l’Irlanda divenne autonoma (solo nel 1937 avrebbe ottenuto l’indipendenza). Il Partito laburista prese per la prima volta il potere a seguito delle elezioni del dicembre 1923 con Ramsay MacDonald che fronteggiò la difficile situazione sociale. Il suo governo durò meno di un anno. Nel 1926 si verificò un’ondata di scioperi causatadalla disoccupazione (un milione i senza lavoro).
Le elezioni del 1929 riportarono MacDonald al governo. Per contrastare la crisi fu inaugurato il protezionismo (1931-32). Nell’Impero i rapporti con le colonie furono regolamentati dallo Statuto di Westminster (1931) cui seguì l’istituzione del Commonwealth (federazione di Stati sovrani) comprendente i Paesi più avanzati.
In Palestina vi furono contrasti tra Arabi ed Ebrei che dal 1890 (su proposta di Teodoro Herzl) aspiravano a fondare uno Stato autonomo (avallato dalla dichiarazione Balfour, 1917). L’Egitto fu dichiarato indipendente nel 1936. In India la figura di Mohandas Karamchand Gandhi (1869-1948), il Mahatma (“grande anima”), si pose a capo di una lotta per l’indipendenza fondata sulla non violenza.
In Francia, dopo un periodo dominato dai moderati (Briand, Millerand, Poincaré), nel 1924 salirono al governo socialisti e radicali. Per fronteggiare il crollo della moneta e il pesante deficit pubblico, nel 1926 Poincaré formò un governo di unione nazionale ostile a ogni riforma sociale, che mise in atto drastiche misure economiche. Dopo il governo Poincaré iniziò una fase di instabilità politica che, tuttavia, non si ripercosse sull’economia. La Francia superò con relativa facilità la crisi del 1929 (i suoi effetti si sentirono solo nel’31). L’instabilità politica portò a un rafforzarsi delle destre che il 6 febbraio 1934 tentarono un colpo di mano. Si formò per reazione un fronte popolare composto da comunisti, socialisti e radicali che vinse le elezioni del 1936. Il governo fu allora affidato a Léon Blum che avviò importanti riforme sociali (settimana lavorativa di 40 ore, nazionalizzazione della Banca di Francia ecc.) avversate dai grandi gruppi industriali.
REPUBBLICA DI WEIMAR, AUSTRIA E UNGHERIA
Dopo la fuga di Guglielmo II in Olanda (10 novembre 1918), si formò in Germania un governo repubblicano composto da socialdemocratici moderati e indipendenti. Il 30 dicembre Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht fondarono il Partito comunista per attuare la rivoluzione proletaria. Il tentativo insurrezionale (moti spartachisti a Berlino) fallì e il 15 gennaio 1919 i due furono assassinati a opera di ufficiali controrivoluzionari.
Le elezioni per l’Assemblea costituente (19 gennaio) diedero la maggioranza relativa al partito socialdemocratico (30% dei voti); il socialdemocratico Ebert fu nominato presidente della repubblica, mentre il governo fu composto da una coalizione di socialdemocratici, cattolici e liberali. Il 6 febbraio seguente l’assise si riunì a Weimar (da qui il nome dato alla Repubblica) approntando una costituzione (11 aprile) che trasformava la Germania in Repubblica federale, affidando al presidente alcuni poteri (nomina del cancelliere, sospensione delle garanzie costituzionali in casi eccezionali).
Nel Paese, accanto alle correnti socialiste e cattoliche, sull’onda dell’indignazione suscitata dal diktat di Versailles, si diffuse un nazionalismo autoritario antiparlamentare e anticomunista: il 5 gennaio 1919 nacque il Partito Operaio Tedesco (cui nel luglio aderì il caporale Adolf Hitler) che nell’agosto del 1920 divenne Partito Nazionalsocialista Operaio Tedesco (di cui Hitler assunse poi il controllo). Figlio del solidarismo nazionale e di primitive pulsioni razziali, il Partito Nazionalsocialista si diede un programma di destra.
La questione delle riparazioni di guerra divenne fondamentale tra il 1921 e il 1923. Fissate nell’astronomica cifra di 132 miliardi di marchi oro, esse suscitarono lo sgomento di tutti i partiti politici.
Di fronte alla riluttanza tedesca a pagare, i Francesi invasero la Ruhr (1923) determinando la resistenza passiva dei lavoratori e il crollo del marco tedesco. Nel 1923 il rapporto dollaro/ marco fu di 1 a 4 200 000 000 000. Nell’agosto del 1923 formò il governo il leader del Partito Popolare, Gustav Stresemann, che volle porre fine al conflitto con la Francia, ridimensionare i comunisti e colpire l’estrema destra. Egli represse la rivolta comunista di Amburgo (23 ottobre) e un tentativo di putsch dei nazionalsocialisti a Monaco (8-9 novembre) che lo accusavano di cedimento verso la Francia.
In ambito economico introdusse il Rentenmark, una moneta garantita da un’ipoteca su tutti i terreni. L’Austria divenne Repubblica federale guidata dai cristianosociali (giugno 1920). In Ungheria, infine, dopo la breve parentesi della rivoluzione comunista di Bela Kun (marzo 1919), terminata con la fuga del suo leader, il potere passò al ammiraglio conservatore Miklós Horthy.