Il comunismo


IL COMUNISMO


Il manifesto del partito comunista. Karl Marx, seguace della sinistra hegeliana, pubblicò insieme ad Engels nel 1848 Il manifesto dei comunisti con l'intento di gettare le basi per una nuova concezione del socialismo. La visione marxista della società pone in forte antitesi i capitalisti (gli oppressori, depositari di ragguardevoli somme di denaro e amministratori dei mezzi di produzione) ed i lavoratori (gli oppressi, le grandi masse povere e proletarie che affollavano le grandi città industriali europee). 

La teoria del valore-lavoro. Fondamento principale della costruzione di Marx è la teoria del valore lavoro: la teoria per cui il valore di scambio di una merce è dato dalla quantità di lavoro mediamente impiegato per produrla. Il lavoro stesso è una merce e come tale viene comprato e venduto sulla base  del valore-lavoro che esso contiene (ossia dei costi relativi alla formazione e al sostentamento dell'operaio).
La caratteristica principale della merce-lavoro è di produrre un valore superiore ai propri costi di produzione, di rendere, insomma, di più di quanto non costi.
L'imprenditore che, assumendo salariati, acquista sul mercato il lavoro (la forza-lavoro secondo la terminologia di Marx) e vende il prodotto di questo lavoro, realizza così un profitto. In questo modo si forma il capitale che si accumula e cresce su se stesso mediante l'impiego di nuova forza lavoro.







 Il destino del capitalismo. Il capitalismo, secondo Marx, è destinato a fallire perché, man mano che si sviluppa, produce i germi della sua dissoluzione. La concentrazione del capitale in poche mani si accompagna alla formazione di una classe proletaria sempre più numerosa e sempre più povera.
Alla tendenza espansiva insita nello sviluppo capitalistico (più macchine, più investimenti, maggiore produzione) fa riscontro l'incapacità del sistema di allargare in proporzione l'area di assorbimento dei suoi prodotti (di qui le periodiche crisi di sovrapproduzione o crisi cicliche). Infine alle forme sempre più organizzate della produzione industriale si contrappone il carattere anarchico della concorrenza.
Sono dunque le stesse leggi della produzione capitalistica a determinare la crisi finale del sistema.










Le soluzioni proposte da Marx. Per risolvere i problemi del capitalismo Marx propone tre interventi principali: 1) l'abolizione della proprietà privata 2) la condivisione dei mezzi di produzione 3) l'abolizione di ogni forma di religione considerata dal filosofo tedesco come un'illusione utile alla classe dominante per controllare le classi inferiori e giustificare così il proprio potere.
Questi interventi nella visione marxista avrebbero dovuto verificarsi tramite una rivoluzione proletaria necessaria per impedire alla società di collassare.
Secondo il pensiero marxista la rivoluzione avrebbe avuto due fasi. In un primo tempo, grazie alla dittatura del proletariato, il modello di produzione sarebbe rimasto capitalista, ma con una distribuzione del reddito più ampia mentre in seconda istanza si sarebbe giunti ad una società senza classi







IL PENSIERO MARXISTA IN RUSSIA 

La fase iniziale del comunismo (1917-1953)


La rivoluzione russa.  Il pensiero marxista venne applicato per la prima volta in Russia nel 1917 in seguito alla rivoluzione d'ottobre quando Vladimir Lenin conduce i bolscevichi alla vittoria contro il potere zarista.
In seguito a questo successo tutti i movimenti proletari di ispirazione comunista guarderanno al modello sovietico, accettando, implicitamente, la leadership del Partito Comunista Panrusso (Bolscevichi) e adotteranno la versione bolscevica del marxismo. 
Ogni partito che avesse voluto aderire aveva dunque l'obbligo di accettare le ventuno condizioni decise dal secondo congresso dell'Internazionale, fra le quali la dodicesima che imponeva ai partiti aderenti il principio del centralismo democratico, che prevedeva la possibilità di un ampio dibattito interno, ma che impediva l'espressione all'esterno di questo confronto, ed un'organizzazione molto centralizzata.

Il leninismo. Nel pensiero di Lenin, come nel marxismo classico, il primo passo della presa del potere da parte del proletariato consisteva in una rivoluzione: il dominio borghese doveva essere sostituito dalla funzione-guida del proletariato. Lenin però, che aveva ripreso e ampliato la teoria di Hobson sull'imperialismo, a differenza di Marx che credeva che la rivoluzione sarebbe avvenuta nei paesi in cui il capitalismo era più avanzato, ipotizzò che la rivoluzione potesse avvenire prima nelle nazioni arretrate, come la Russia zarista, che erano più fragili perché subivano contemporaneamente sia le sollecitazioni interne del cambiamento sociale sia la pressione concorrente degli stati confinanti, economicamente e socialmente più moderni. Lenin puntava sul movimento di massa, alla cui testa doveva porsi il proletariato guidato da un'avanguardia proletaria composta di partiti coesi, bene organizzati e retti da una rigida disciplina. Questa versione del marxismo rientra nella teoria detta leninismo.









Lo stalinismo. La politica sovietica e la prassi comunista cambiarono radicalmente con l'ascesa del successore di Lenin, Stalin; questi, una volta eliminato il rivale Lev Trotsky, che desiderava esportare in tutto il mondo gli ideali rivoluzionari, elaborò un'ideologia, il marxismo-leninismo, che sotto la discussa continuazione del pensiero di Marx e di Lenin, formalizzava a livello teorico le istituzioni e le prassi formatesi nell'Unione Sovietica del tempo. 
Alla politica economica ricevuta in eredità da Lenin, Stalin sostituì una industrializzazione e collettivizzazione forzata, con una massiva e spietata repressione del dissenso e dei nemici veri o presunti che venivano deportati nei campi di lavoro (i gulag) o giustiziati provocando milioni di morti (lo sterminio dei Kulaki, i proprietari terrieri che si opponevano alla collettivizzazione delle terre). L'industrializzazione sotto la rigidissima guida statale si proponeva come obbiettivo il rafforzamento della nazione sovietica nei confronti delle potenze occidentali.
La politica estera di Stalin passò dal sostegno aperto ai movimenti antifascisti quando la sua posizione poteva uscirne rafforzata, alla ricerca di un compromesso semi-segreto con la Germania nazista per spartirsi la Polonia e altri territori già parte della Russia (Patto Molotov - von Ribbentrop del 1939).
In seguito, tuttavia, all'attacco nazista alla Russia Stalin strinse un'alleanza con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna contribuendo in modo decisivo alla sconfitta di Hitler in Europa. 
Alla fine della seconda guerra mondiale il potere di Stalin e la sua ideologia si espansero nelle zone che l'armata rossa aveva liberato dal nazismo ed occupato. Dove esisteva un movimento comunista di massa, come in Cecoslovacchia, le purghe eliminarono presto i dirigenti non in linea con la neo nata URSS (unione delle repubbliche socialiste sovietiche)  o non sufficientemente malleabili, mentre i partiti non comunisti, maggioritari, venivano sciolti o posti sotto controllo dei partiti  filosovietici. Alla fine l'Europa orientale vide nascere una cintura di stati satelliti saldamente controllati dall'URSS e con sistemi politico-sociali ricalcati sul modello sovietico.
La reazione degli Stati Uniti all'espansione dell'influenza dell'URSS portò ad un progressivo irrigidimento dei due grandi blocchi che si configurò nel periodo storico definito guerra fredda.
Stalin, fino alla morte avvenuta nel 1953, fu oggetto di un vero e proprio culto incoraggiato dalla propaganda del partito che perseguiva per altro ferocemente qualsiasi forma di religione in nome dell'ateismo marxista.







LA GUERRA FREDDA

La fase intermedia del comunismo (1953-1985)

 

Il comunismo nel mondo e la guerra fredda. In seguito alla seconda guerra mondiale il blocco sovietico comunista si contrappone al blocco occidentale liberale protetto dagli Stati Uniti. 
In questo periodo si assiste ad una espansione del comunismo in Indocina e nell'Africa centrale e meridionale. In America centrale la rivoluzione cubana porta al potere Fidel Castro, mentre in Cile, Argentina e Brasile i movimenti operai e marxisti furono repressi ferocemente da giunte militari. Durante questo periodo si susseguirono alla guida del partito comunista russo: Nikita Sergeevič Chruščëv, che denunciò apertamente i crimini commessi dal predecessore Stalin e che tentò di instaurare un approccio amichevole con l'Occidente, Leonìd Il'ìč Brèžnev, Jurij Vladimirovič Andropov e Konstantin Ustinovič Černenko  









LA CADUTA DEL MURO DI BERLINO 

Il crollo del comunismo (1989)

 
Le riforme di Gorbačëv. Nel 1985 la segreteria del partito viene assunta da Michail Sergeevič Gorbačëv, più giovane e più dinamico dei suoi predecessori, rappresentante di una generazione che non era stata direttamente coinvolta nello stalinismo.
Gorbačëv si mostrò subito deciso a introdurre una serie di radicali novità nel corso della politica sovietica, sia sul piano interno che su quello internazionale. In politica economica, il nuovo segretario legò il suo nome alla parola d'ordine della perestrojka (riforma), proponendo una serie di interventi nel segno della liberalizzazione, volti ad introdurre nel sistema comunista elementi di economia di mercato.
Ancora più importante delle riforme, che però per la maggior parte si dimostrarono inadeguate e furono regolarmente scavalcate dalla crisi dell'intero sistema comunista, fu l'avvio di un processo di liberalizzazione interna condotto all'insegna della glasnost (trasparenza): un processo che consentì lo svilupparsi di un processo politico culturale impensabile fino a pochi anni prima.



L'affermazione di Solidarnosc in Polonia. Alla fine della seconda guerra mondiale, come ricordato la Polonia entrò nell'orbita sovietica, assumendo i confini attuali e divenendo una repubblica popolare fino al 1989, anno in cui il movimento di origine sindacale Solidarnosc, guidato da Lech Walesa (nella foto) e sostenuto da papa Giovanni Paolo II, polacco anche lui, vinse le elezioni.
Gli avvenimenti polacchi furono una delle conseguenze più rilevanti delle riforme avviate in epoca gorbaceviana, ma furono anche determinati dalla costante azione del clero cattolico reso più forte e più autorevole dall'ascesa di Karol Wojtyla (nella foto) al soglio pontificio nel 1978. La chiesa cattolica infatti si batté con forza per sconfiggere l'ateismo comunista ed ottenere la libertà religiosa.










La caduta del muro di Berlino. Il 9 novembre 1989 furono aperti i confini fra Germania est e Germania ovest, divise all'indomani del secondo conflitto mondiale, compresi i passaggi attraverso il muro di Berlino, emblema della guerra fredda. Grandi masse di cittadini tedesco-orientali si recarono in visita all'Ovest in un'atmosfera di festa e di riconciliazione che implicitamente rilanciava il tema dell'unità tedesca. Al di là delle sue ripercussioni sull'assetto della Germania, la caduta del muro rappresentò un evento epocale e assurse a simbolo della fine delle divisioni che avevano spaccato in due l'Europa dividendola tra seguaci del libero mercato e comunisti.



 

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