Giovanni Verga e il verismo

 

 


 

GIOVANNI VERGA

 

Il verismo. Il primo ispiratore e teorico del movimento verista fu indirettamente De Sanctis, che nei saggi Il principio del realismo (1872) e Studio sopra E. Zola (1878) auspicò una letteratura fondata sul vero.

Le teorie di De Sanctis furono riprese e sviluppate da Capuana, che intese l’opera d’arte come “forma” vivente, come organismo dotato di una propria vita, né modificata né condizionata da chi scrive. Il testo narrativo in cui queste posizioni vengono più esplicitamente evidenziate è la novella di Verga L’amante di Gramigna, raccolta
in Vita dei campi (1880), nella cui prefazione l’autore espone la sua interpretazione della teoria dell’impersonalità (nell’opera d’arte “la mano dell’artista rimarrà assolutamente invisibile”). 


 


Verga, però, a differenza di Zola, ritiene che lo scrittore non potrà mai agire con il rigore dello scienziato, perché “il processo di creazione rimarrà un mistero, come lo svolgersi delle passioni umane”: il verismo si propone, coerentemente con le concezioni naturalistiche, di offrire al lettore la fotografia della realtà senza che l’autore interferisca con essa: il massimo risultato che uno scrittore possa ottenere è quello dunque di fare in modo che lo scritto “sembri essersi fatto da sé”). Stabilito il “frammento di vita” di cui occuparsi, il narratore lascia che gli avvenimenti siano osservati e giudicati attraverso la scala di valori propri dell’ambiente preso in esame. 

Il punto di vista di chi scrive è soggetto a una “regressione”, che si riflette non solo nell’area del contenuto, ma addirittura sulle scelte linguistiche, come nel caso dei Malavoglia (1881) di Verga, in cui prevalgono la struttura sintattica del dialetto tipico del mondo contadino e le forme del discorso indiretto libero, come se la prosa fosse lo specchio di un intervento collettivo indeterminato.

 

 L'OPERA

 

La famiglia, di sentimenti liberali, apparteneva alla piccola nobiltà di campagna. Nato a Catania nel 1840, Verga trascorse la giovinezza nella proprietà di Vizzini, vicino al capoluogo etneo. Nel 1858 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza; all’arrivo di Garibaldi (1860) si arruolò nella Guardia nazionale e rimase in servizio fino al 1864. 

In quegli anni scrisse e pubblicò alcuni romanzi di contenuto patriottico (I carbonari della montagna, 1861-62; Sulle lagune, 1863) e collaborò con numerose riviste politiche e letterarie. Nel 1865 compì il primo viaggio a Firenze, allora capitale d’Italia, restando affascinato dal mondo intellettuale della città.
Vi tornò più stabilmente nel 1869, dopo aver pubblicato il romanzo Una peccatrice (1866) e averne preparato un secondo, Storia di una capinera (1871).
Dal 1872 si trasferì a Milano. L’incontro più significativo fu quello con il siciliano Capuana, che gli fece conoscere il naturalismo degli scrittori francesi Flaubert e Zola. 

 

 


Pubblicato un terzo romanzo, Eva (1873), Verga continuò una produzione connotata da due tendenze antitetiche: scrisse un bozzetto di forte impronta naturalista e di ambientazione siciliana (Nedda, 1874) e contemporaneamente approntò due romanzi dai toni tardoromantici, con tematiche proprie del mondo elegante dei salotti aristocratici e borghesi: Tigre reale (1875) ed Eros (1875). Il suo interesse si era ormai orientato verso la poetica del vero, mutuata dagli scrittori francesi: dall’intensa riflessione teorica e dal recupero nella memoria di temi siciliani nacquero le raccolte di novelle Vita dei campi (1880), Novelle rusticane (1883) e il romanzo I Malavoglia (1881), il primo del ciclo intitolato I vinti. Queste grandi opere sia per la novità dell’argomento, accentuata dalla sostanziale marginalità dell’ambiente rappresentato, sia per l’originalità dell’impostazione linguistica, molto distante dalla tradizione manzoniana, non ottennero il successo che avrebbero meritato. 

 

 

 

Per questo motivo, oltre che per sopravvenute difficoltà economiche, lo scrittore non trascurò del tutto la narrativa di ambiente non siciliano e pubblicò il romanzo Il marito di Elena (1882) e le novelle milanesi Per le vie (1883). Nel 1884 ottenne un grande successo con la versione teatrale della novella Cavalleria rusticana, andata in scena a Torino per interessamento di Giacosa.
 

 

 


 

Ritrovato l’entusiasmo, egli tornò a dedicarsi alle novelle di ambiente siciliano (Vagabondaggio, 1887) e soprattutto alla stesura di un romanzo già iniziato verso il 1883 e mai compiuto, il Mastro don Gesualdo (1889), che fu ben accolto dai lettori. Seguirono altre due raccolte di novelle, I ricordi del capitano d’Arce (1891) e Don Candeloro e C.i (1894). 

Nel frattempo aveva ottenuto un trionfo la versione musicale della Cavalleria rusticana, opera di Mascagni (la prima è del 1890): Verga, di nuovo in ristrettezze economiche, fece causa al compositore e all’editore Sonzogno, ottenendo (1893) un sostanzioso risarcimento, che gli consentì di vivere agiatamente per il resto dei suoi giorni.
Nel 1893 tornò in Sicilia e si occupò con continuità soprattutto di teatro, per cui compose tra l’altro i drammi La lupa (1896), La caccia al lupo (1901), La caccia alla volpe (1901) e soprattutto Dal tuo al mio (1903), in cui viene presentata una tematica sociale di notevole intensità e modernità.
Per circa vent’anni, fino alla morte avvenuta a Catania nel 1922, scomparve dalla ribalta letteraria 

 

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