La modernizzazione del Giappone

 

 


 LA MODERNIZZAZIONE DEL GIAPPONE


Il Giappone della metà del XIX sec. era ancora organizzato secondo strutture feudali. L’arcipelago dell’Estremo Oriente, chiuso in se stesso e nelle sue tradizioni, non venne neanche sfiorato dal turbine delle vicende che si susseguirono in quasi tutto il resto del mondo. Nelle isole nipponiche le caste sociali più agiate erano riuscite a cristallizzare un’organizzazione socio-economica tale da consentire loro di mantenere un ruolo di primo piano.
 

 


 

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L’imperatore, lo shogun, i daimyo e i samurai detenevano tutto il potere e non erano disposti a rinunciarvi. Se non che, dal 1850 in poi, gli eventi precipitarono. Nel 1853 una flotta americana, capitanata da Mattew Perry, impose al Giappone di aprire i propri porti alle potenze occidentali; l’arcipelago capitolò, e, a causa di forti tensioni interne, si ritrovò invischiato in una guerra civile.
 

 


 

Da essa uscì vincitore il partito imperiale: fu proprio grazie all’imperatore Mutsuhito che il Giappone si risvegliò da secoli di torpore.

 

 


 

Vediamo più nel dettaglio questo periodo storico. Il Trattato di Kanegawa che stabilì l’apertura dei porti di Shimada e Hakodate e concesse agli Stati Uniti un rappresentante permanente; poco dopo analogo trattamento fu riservato a Gran Bretagna, Francia, Russia e Paesi Bassi. La firma degli accordi suscitò nell’arcipelago uno stato di crisi interna che sfociò in una vera guerra civile. Solo nel 1867 fu ristabilito l’ordine, con la restaurazione del potere imperiale: salì al trono l’imperatore Mutsuhito (Meiji Tenno, 1867-1912) che non esitò a porre sotto il proprio controllo gli affari interni e la politica estera (era Meiji). 

 

 


Consapevole dell’arretratezza del suo Impero, egli stilò un programma di governo mirante alla modernizzazione. Tale processo fu favorito dall’introduzione delle tecnologie e dell’industria occidentali.
Mutsuhito desiderava portare il Paese su un piano di parità con le altre potenze mondiali. Intervenne quindi nell’organizzazione interna della società: per legittimare la centralizzazione del potere nelle sue mani, ordinò la confisca delle proprietà dello shogun (1868) e dei daimyo. Nel 1871 i feudi furono aboliti.
Due anni più tardi una riforma fiscale introdusse una tassa in danaro che portò nelle casse dello Stato un ricco flusso di liquidità.
La casta nobiliare dei samurai venne privata di ogni privilegio: ai suoi esponenti fu assegnata una pensione statale.
L’amministrazione locale fu affidata a prefetti, mentre nel Paese furono introdotte l’istruzione (1872) e la coscrizione (1873) obbligatorie.

 

 


 

In pochi decenni esso divenne una grande potenza, moderna e ricca, capace di reggere il confronto con le più avanzate nazioni occidentali. Prova ne fu l’esito della guerra contro la Cina per il controllo della penisola coreana (1894)