Giovanni Boccaccio

 


 

GIOVANNI BOCCACCIO


Nacque nel 1313 a Firenze, figlio illegittimo di ser Boccaccino di Chellino, ricco uomo d’affari di Certaldo, che l’avviò giovanissimo alla carriera finanziaria, portandolo con sé a Napoli (1327), dove si era trasferito in qualità di agente della banca dei Bardi, finanziatrice del re di Napoli Roberto d’Angiò.

 

 

 

Nel periodo napoletano scrive il Filocolo (1336-38?), romanzo sentimentale in prosa; il Filostrato (1335 o 1339), poema narrativo in ottave la cui materia è l’amore tradito di Troiolo per Criseida.
Teseida delle nozze d’Emilia (1339-41?), composto da 12 canti in ottave sullo sfondo delle gesta guerresche di Teseo e delle Amazzoni.

 


 

Nel 1340-41 ritorna a Firenze. Qui svolge importanti incarichi pubblici e diplomatici e scrive le opere della sua maturità. Queste sono:

  • Amorosa visione (1342-43), poema allegorico di 50 canti in terzine, architettato su modelli danteschi e intessuto di reminiscenze ovidiane. 
  • L’Elegia di madonna Fiammetta (1343-44) narra una storia di travagli amorosi raccontata in prima persona dalla protagonista. 
  • Il Ninfale fiesolano (1344-46?), poema in ottave, parte dalla narrazione dei tragici amori del pastore Africo e della ninfa Mensola, per giungere a celebrare le leggendarie origini di Fiesole e Firenze: è la sua opera più matura prima del Decameron

 

 

 

Muore a Certaldo nel 1375

 

 

 

IL DECAMERON

 

Scritto negli anni immediatamente successivi alla peste del 1348, tra il 1349 e il 1353, il Decameron reca l’impronta dell’evento luttuoso. È infatti per sottrarsi all’epidemia e al degrado morale della vita fiorentina a essa conseguente, che i 10 giovani protagonisti della storia portante (Pampinea, Filomena, Elissa, Neifile, Emilia, Lauretta, Fiammetta, Panfilo, Filostrato, Dioneo) decidono, nel corso di un incontro casuale nella chiesa di Santa Maria Novella, di rifugiarsi nel contado. 

 

 


Nel salubre regime di vita comunitaria instaurato in villa, trova luogo, accanto a giochi, danze e gradevoli escursioni, anche il racconto di novelle, il cui tema è giornalmente imposto, per un totale di dieci giornate (da qui il titolo) dal re o dalla regina di volta in volta eletti dalla brigata.
 

 



Da questa, che viene chiamata la “cornice” e giustifica la produzione narrativa, risulta così una compagine di 100 novelle, alle quali si aggiungono dieci canzoni a ballo intonate a turno dai giovani in fine di giornata.
Amplissimo è il catalogo dei materiali cui Boccaccio attinge, spesso modificando liberamente i contenuti del testo di partenza, talvolta dando vita a vere e proprie parodie. Nel Decameron trova artistica celebrazione la classe borghesemercantile venuta alla ribalta in Italia tra Duecento e Trecento, una classe che a Boccaccio piacque contemplare nei suoi tentativi di nobilitarsi alla luce degli ideali cortesi. 

Fulgido modello umano risulta alla fine quel messer Torello da Pavia che, pur se “cittadino e non signore”, appare dotato d’animo e modi splendidamente signorili, esibiti nel corso di una gara di cortesie con il Saladino, sultano del Cairo.

Una “Umana commedia

Osservazione comune a lettori di ogni secolo, è che nel Decameron
si concretizzi un progetto narrativo d’inusitata ambizione.
E certo Boccaccio, nel pensare all’opera come quadro grandioso della vita, di tutta la vita, con le sue luci e le sue ombre, nella sua infinita capacità di coinvolgere chi la contempla, occasione continua di meraviglia ed emozione, di riflessione psicologica e giudizio morale, teneva presente il grande modello della Commedia dantesca. 

 

 

 

Quella di Boccaccio è dunque una “Umana commedia”, caratterizzata da un deciso concentrarsi dell’interesse sull’umano agire nel mondo per il mondo, piuttosto che nella prospettiva dell’eterno.
 

 



Il realismo del Decameron è da intendere, tra l’altro, come predilezione per vicende collocate nel presente, in luoghi individuati con precisione, rappresentazione non esclusivamente a fini comici di personaggi che incarnano i più bassi strati sociali. Boccaccio adotta dunque una poetica in cui non hanno più luogo l’esibizionismo erudito e il gusto mitologico, abbandona le sovrastrutture allegoriche, si fa avvocato dei diritti all’appagamento sessuale, propone continuamente all’ammirazione del lettore le risorse pragmatiche dell’individuo, il valore azione in quanto azione. 

Se è giusto riconoscere che sul Decameron il Medioevo accampa diritti non indifferenti, è perciò quasi impossibile non vederlo anche come vivido ed esaltante preludio alla grande stagione del pensiero e della letteratura rinascimentali




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