Francesco Petrarca

 

 


 

FRANCESCO PETRARCA 


Nacque ad Arezzo nel 1304 da Eletta Canigiani e da ser Pietro, detto Petracco, un notaio fiorentino di parte bianca esiliato assieme a Dante. 

Nel 1312 la famiglia si trasferì a Carpentras, in Provenza, dove ser Petracco aveva intenzione di esercitare la professione vicino alla sede papale di Avignone. Petrarca fu mandato a studiare legge a Montpellier e poi, con il fratello Gherardo, a Bologna. In questi anni alimentò l’interesse per i classici (Cicerone, Virgilio, Livio) e per i padri della Chiesa, soprattutto sant’Agostino. 


 

 

 

Nel 1326, alla morte del padre, tornò ad Avignone. Qui, nella chiesa di Santa Chiara, il giorno di venerdì Santo del 1327, avvenne, secondo la testimonianza dello stesso poeta, l’episodio dell’incontro-innamoramento con Laura, destinata a diventare la figura ispiratrice centrale nel Canzoniere. 

 

 

 

Esaurito il patrimonio paterno, intraprese la carriera ecclesiastica (che non gli impedì, d’altro canto, di avere relazioni amorose da cui nacquero due figli: Giovanni e Francesca) e divenne nel 1330 cappellano di famiglia del cardinale Giovanni Colonna, ciò che gli permise di viaggiare in diversi paesi d’Europa. È del 1333 la sua scoperta, a Liegi, di due orazioni ciceroniane, la Pro Archia e l’apocrifa Ad equites Romanos. 

 


 

Nel 1335 il nuovo papa Benedetto XII lo nominò canonico nella cattedrale di Lombez; al 1335 e al 1336 risale l’invio di due epistole allo stesso papa che chiedevano il ritorno in Italia della sede pontificia. Dopo un primo viaggio a Roma, dove lo impressionarono profondamente i vestigi dell’antichità classica, si trasferì da Avignone alla vicina ma assai più tranquilla Valchiusa, dove si dedicò all’attività di scrittore, sia in latino (Africa; De viris illustribus), sia in italiano, lavorando alle rime che dovevano sfociare nel Canzoniere e ai Trionfi. Alternava momenti di ritiro e solitudine dediti allo studio a viaggi e attività pubblica. Grazie alla notorietà procuratagli dalle opere latine (alle quali sempre Petrarca affidò il suo desiderio di gloria, piuttosto che alle liriche in volgare), nell’aprile del 1341 gli fu conferita a Roma, in Campidoglio, la laurea poetica. 

 

 

 

Nel 1342 raccolse per la prima volta le rime in lingua volgare. Intanto la morte di Laura, nella pestilenza che in quegli anni devastava l’Europa, e la decisione del fratello Gherardo di farsi monaco accentuavano l’inquietudine e l’intimo dissidio tra il desiderio di raccoglimento e riflessione e l’ambizione mondana.

 

 

 

Nel 1343 a Verona scoprì le lettere di Cicerone ad Attico.
Nel 1347 per sostenere la riforma politica di Cola di Rienzo, che intendeva dare a Roma un ruolo propulsivo per unificare l’Italia, tornò in Italia, dove si legò in amicizia con Boccaccio.
Nel 1351 si stabilì a Padova presso Francesco da Carrara e dal 1353 al 1361 alla corte viscontea di Milano. Per i Visconti, da Giovanni a Bernabò, s’impegnò in diverse missioni diplomatiche (fu anche presso l’Imperatore Carlo IV, a Praga). Spostatosi a Padova per sfuggire alla peste che si diffondeva in Lombardia, si trasferì poi a Venezia. 

 

 

 

Qui gli fecero visita nel 1363 gli amici Boccaccio e Leonzio Pilato. Tenendo residenza a Padova, Venezia e poi ad Arquà, sui colli Euganei, ma sempre impegnato in viaggi, trascorse gli ultimi anni continuando il lavoro intellettuale. A questo periodo appartiene il De sui ipsius et multorum ignorantia, polemico libello di risposta a quattro giovani aristotelici che lo avevano tacciato d’ignoranza. Morì ad Arquà (oggi Arquà Petrarca) la notte tra il 18 e il 19 luglio 1374




IL CANZONIERE

Il Canzoniere si è affermato attraverso i secoli come l’opera di Petrarca più significativa e di più duratura rilevanza per l’evoluzione della storia della poesia e della poetica occidentali.
 

Frutto di un lavoro di composizione, revisione e ordinamento che cominciò attorno al 1335 e impegnò il poeta fino alla morte, il Canzoniere (il cui titolo originale è Rerum vulgarium fragmenta, Frammenti di volgare), presenta nell’ultima forma 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4 madrigali. Una compagine che risulta divisa dal componimento I’ vo pensando, et nel penser m’assale in
due parti: rime in vita e rime in morte di Laura.

 

 

 


 

Frutto della tradizione latina (classica e patristica) e di quella volgare moderna, dai provenzali allo stilnovo e a Dante, il Canzoniere rappresenta l’estrema testimonianza di una ricerca di mediazione tra eros e caritas, tra amor profano e amor sacro, di quel tentativo di conciliare Ovidio con la Sacra Scrittura che tanta parte ebbe nel configurare la produzione letteraria medievale, specialmente lirica. 

Si tratta di una poesia tutta risolta in una puntuale resa della psicologia amorosa, fortemente radicata nell’esperienza intima dell’io, spiritualizzante e incline a eleganti soluzioni formali.
La lingua è depurata da ogni tentazione realistica, improntata a un ideale di alto decoro e perfetta armonia. Ciononostante, è assolutamente dominante la figura femminile, fulcro radioso di un mito personale del poeta, che ripete liberamente, con coscienza cristiana, il mito della negazione del soddisfacimento erotico proposto dallo splendido archetipo ovidiano della storia di Apollo e Dafne. 

 


 


Laura è moderna incarnazione di Dafne che si sottrae alle sollecitazioni di chi la desidera; come Dafne, si trasforma in lauro: quel lauro che dovrà coronare la fronte dell’amante divenuto poeta.
Amore della donna e amore della fama: un orizzonte meditativo scrutato minutamente, come nel Secretum. La complessa articolazione introspettiva della storia d’amore trova completamento in chiave di ritrattazione nella canzone alla Vergine, ultimo componimento della raccolta, in cui all’esaltazione della donna terrena (non altro, a ben vedere, che “poca mortal terra caduca”) si sostituisce quella della donna divina (la “vera beatrice”) invocata come ultimo porto di salvezza per l’anima resa esausta dagli ingannevoli e vani affanni mondani, ma assetata di verità assolute.


I TRIONFI


L’altra opera poetica in volgare sono i Trionfi (scritti fra il 1348 e il 1374). Si tratta di un’ambiziosa visione allegoricodidattica in terzine divisa in sei parti: Trionfo dell’Amore, della Pudicizia, della Morte, della Fama, del Tempo, dell’Eternità.
 

In essi, guardando al grande modello della Commedia dantesca, Petrarca intese inserire il vagheggiamento del personale mito amoroso animato dalla figura di Laura sia nel flusso della storia degli uomini, sia in immutabili quadri di riferimento morale e in prospettiva metastorica. Sono i grandi temi della vita interiore del Petrarca, primo fra tutti quello dell’umano dibattersi tra la dispersione mondana e la compiuta maestà dell’eterno, a essere drammatizzati nei Trionfi, con un gusto figurativo e compositivo ancora in buona parte medievale e un esito poetico nel complesso deludente.


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