Carlo V e la Spagna su cui non tramonta mai il sole

 

 

 


 

L'EREDE DI UN IMPERO 

 

Il risultato più importante dell’accorta politica matrimoniale messa in atto dall’imperatore Massimiliano I fu la nascita, nel febbraio 1500, di Carlo d’Asburgo da Giovanna la Pazza (figlia di Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia) e Filippo il Bello (figlio di Massimiliano I).
 

 


UN IMPERO ENORME. Nel 1519 Carlo d’Asburgo fu eletto imperatore col nome di Carlo V. Re di Spagna dal 1516, Carlo V si trovò così a governare, oltre che sulla Spagna – con i territori annessi di Napoli, Sicilia e Sardegna – anche sulle terre familiari degli Asburgo in Austria e in Boemia, sulla Fiandra e i Paesi Bassi e sui territori appartenenti all’Impero.
Carlo, inoltre, avanzava pretese dinastiche anche sulla Borgogna, sottratta dai francesi agli Asburgo. Era dai tempi di Carlo Magno che un sovrano non possedeva, in Europa, un dominio così vasto. Ma, rispetto al suo lontano modello, Carlo V era padrone anche delle immense colonie spagnole: del suo impero poteva davvero dirsi che il sole non vi tramontava mai.
 

 

 

IL RIVALE. Per diventare imperatore, Carlo aveva dovuto ingaggiare una lotta accanita con un altro candidato al trono, il re di Francia Francesco I. Agli occhi dei principi elettori tedeschi i
due candidati si equivalevano: ambedue erano, infatti, «stranieri» (Carlo era nato a Gand, in Fiandra, Francesco era francese) e se il re di Spagna poteva vantarsi di essere il nipote del defunto imperatore, il re di Francia aveva dalla sua l’appoggio del papa Leone X, timoroso che il sovrano spagnolo, già padrone dell’Italia meridionale, acquisisse anche la corona imperiale.
Il vero protagonista di questa lotta fu il denaro: i sette elettori cui spettava la nomina misero letteralmente in vendita i loro voti, che Carlo acquistò a carissimo prezzo. 

 

DIPENDENTE DAI BANCHIERI. Per il suo successo fu decisivo l’appoggio finanziario garantitogli dai banchieri tedeschi Welser e, soprattutto, Fugger. Qualche anno dopo il banchiere Jakob Fugger ricordò l’episodio all’imperatore senza mezzi termini: «È cosa nota a tutti, e chiara come il giorno, che senza di me Vostra Maestà Imperiale non avrebbe potuto ottenere la corona».
 

 

 

GLI OSTACOLI AL PROGETTO IMPERIALE. Divenuto imperatore, Carlo V dovette subito far fronte a un grande problema: garantire stabilità e omogeneità ai propri domìni, caratterizzati dalla dispersione territoriale e travagliati da lotte politiche interne. Il progetto di restaurazione dell’autorità imperiale sull’Europa, perseguito da Carlo V, infatti, era destinato a incontrare numerosi ostacoli, esterni e interni. 

Sul fronte esterno, il principale problema era costituito dal re di Francia. La rivalità tra Francesco I e Carlo V per il trono imperiale, infatti, fu solo l’anticipazione di una lotta accanita, destinata a durare decenni e a lacerare profondamente l’Europa. 

L’altra fonte di preoccupazione per Carlo V era costituita dai turchi ottomani, il cui Impero, in piena fase di espansione territoriale, rappresentava una seria minaccia sia lungo il confine danubiano, sia nel Mediterraneo occidentale.
 

Ben più complessi e delicati i problemi che si presentavano al giovane imperatore sul fronte interno. In Spagna le Cortes di Castiglia e di Aragona non avevano accolto di buon grado l’ascesa al trono di Carlo. Queste, infatti, non gli perdonavano il fatto che egli non conoscesse né la lingua né alcun altro aspetto del suo nuovo regno. Non solo, notoriamente gelose delle proprie libertà e prerogative, le Cortes erano assolutamente insofferenti verso i consiglieri fiamminghi di cui il re si circondava. 

Il timore che gli interessi iberici potessero essere subordinati agli affari fiamminghi e alla politica tedesca determinò l’insorgere di un moto di ribellione che fu domato a fatica: la rivolta dei comuneros, gli abitanti delle città castigliane (1520-22). 

 

 

 

LA QUESTIONE DEI PROTESTANTI. Più complessa la situazione nei territori tedeschi, dove Carlo V dovette far fronte alla deflagrazione della grande crisi religiosa e politica causata dalla diffusione della predicazione di Martin Lutero e della Riforma protestante.

Nel volgere di qualche anno la Riforma si era trasformata da movimento di contestazione religiosa in movimento di contestazione
sociale e politica. L’entusiasmo per la predicazione di Lutero, infatti, si era incrociato con alcune rivendicazioni di tipo sociale (la rivolta dei cavalieri nel 1521-23, la guerra dei contadini nel 1524 e il malcontento dei principi tedeschi), i quali aderirono  alla Riforma in funzione anti-imperiale, ovvero per consolidare le loro posizioni all’interno dell’Impero e dei propri territori, contro il disegno di accentramento politico di Carlo V.

 

 


A tal fine, nel 1531 essi strinsero un’alleanza militare, la Lega di Smalcalda. Nell’Impero si vennero così a formare due fazioni religiose, una cattolica e una protestante, destinate a darsi battaglia per lungo tempo. Inutile si rivelò la politica di conciliazione tra le parti – la cattolica e la protestante – intrapresa da Carlo V. Infatti, il rifiuto del pontefice Paolo III (1534-49) di convocare un concilio per comporre i contrasti, più volte richiesto dall’imperatore, rendeva impossibile la soluzione della questione luterana. 

Fu così che, appena se ne presentò l’occasione, Carlo V organizzò una campagna militare contro la Lega dei principi protestanti, che godeva dell’appoggio del re di Francia, nemico storico dell’imperatore. Lo scontro si concluse nel 1547 con una parziale vittoria di Carlo V (battaglia di Mühlberg). Le condizioni per
una convivenza tra le due fazioni religiose furono tuttavia stabilite solo nel 1555, poco prima dell’abdicazione dell’imperatore.

 

LA PACE DI AUGUSTA

 

Carlo V decise anzitutto di risolvere diplomaticamente il conflitto con i principi protestanti tedeschi che si trascinava da tempo senza vincitori né vinti (la vittoria militare delle forze imperiali a Mühlberg nel 1547 si era subito rivelata tutt’altro che decisiva: la pace di Augusta del 1555 tra l’Impero e la Lega di Smalcalda sancì ufficialmente la divisione di fatto della Germania tra cattolici e luterani. 

Cosa del tutto nuova nella storia d’Europa, i sudditi furono obbligati a seguire la confessione religiosa del loro sovrano. In precedenza tutti i cristiani europei erano uniti da una sola fede, da riti comuni, da una comune obbedienza alla Chiesa di Roma. I sovrani potevano scontrarsi e magari prendere le armi uno contro l’altro, ma i loro sudditi erano tutti – tranne alcuni gruppi minori ed emarginati, come gli ebrei – cattolici.
 

 

 

CUIUS REGIO EIUS RELIGIO Ora s’imponeva, invece, inevitabilmente, una tendenza del tutto diversa: i sudditi erano tenuti a seguire la confessione del loro principe, con il risultato che non di rado dovettero passare più volte da una confessione all’altra in rapporto al succedersi dei principi: Cuius regio eius religio («La religione corrisponda a quella di chi possiede il paese») era il nuovo principio che governava la storia religiosa e politica europea. Ad Augusta si decise anche di regolamentare il problema delle confische dei beni della Chiesa da parte dei protestanti, che furono regolarizzate fino alla data del 1552.
Per la prima volta nella storia dell’Occidente cristiano due forme di religione, la cattolica e la luterana, ottenevano pari riconoscimento legale. Zwingliani, calvinisti e anabattisti furono tuttavia esclusi dall’accordo. 

Con la pace di Augusta del 1555 Carlo V rinunciò a imporre in Germania l’egemonia dell’Impero in campo religioso e accondiscese
a una più ragionevole politica di equilibri e di compromessi. Un passo ulteriore e ben più clamoroso fu compiuto dall’imperatore l’anno dopo, quando abdicò dividendo l’Impero in due tronconi: al fratello Ferdinando I (1556-64) lasciò la corona imperiale, le terre ereditarie degli Asburgo, le corone di Boemia e di Ungheria; al figlio Filippo II (1556-98) lasciò il Regno di Spagna con Milano e i tre Viceregni di Napoli, Sicilia, Sardegna, le colonie americane e i Paesi Bassi (già ceduti nel 1555). Dopo aver compiuto questo atto Carlo si ritirò in un monastero fino alla morte, che sopraggiunse nel 1558

 

 



Curiosità

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