Scrittura - Doni e fatiche



IL FIORE SACRO

Un giorno Macalea stava andando al fiume per incontrare Poseidone. Durante il cammino incontrò un'anziana signora che, avendo bisogno di aiuto, chiese alla fanciulla se avesse del cibo con sè. Macalea rattristata le disse che non aveva nulla nella sua bisaccia. Passava per caso di lì un ragazzo, un pescatore di nome Eumolpo, che aveva delle focacce ed un otre pieno d'acqua sotto il braccio. Macalea sorrise al giovane e gli chiese di aiutare l'anziana signora. Eumolpo inizialmente non volle sentire ragioni. Quelle focacce erano il suo pranzo ed era molto affamato, ma quando vide le lacrime sul volto della vecchia donna decise di offrire ciò che aveva. Macalea, colpita da quel gesto, decise di regalare al ragazzo il fiore sacrco che suo padre le aveva donato. Quel fiore non poteva appassire ed era di una tale bellezza che quando Eumolpo lo portò nella sua capanna, la moglie ed i figli ne rimasero affascinati. Ogni volta che erano tristi lo guardavano e subito il cuore si riempiva di felicità.

  
IL MANTELLO MAGICO

Nella vita accadono strane cose. Mi chiamo Macalea e sono una ragazza di undici anni e debbo raccontarvi una strana vicenda. 
Un giorno d'autunno stavo uscendo dalla mia capanna per andare a prendere l'acqua dal pozzo, al di là del bosco.
Nella foresta si trovavavano molte foglie che il vento agitava, molti insetti accarezzavano il viso e si posavano sui fiori.


In un fossato all'interno del bosco, vidi qualcosa di verde che si muoveva e così mi avvicinai con timore, ansia, un po'di paura, ma anche curiosità, per vedere che cosa fosse. Era qualcosa di piccolo, sembrava alto quanto una sedia da cucina, cercai di toccarlo, ma quando mi avvicinai mi afferrò la mano. Con tutta la forza che avevo cercai di strappare quello strano essere vivente dal terreno. Dopo alcuni tentativi ci riuscii.
Pensai che fosse un bambino piccolo, ma rovesciandolo vidi che aveva delle strane orecchie, larghe e tonde, proprio come quelle di un dattilo. Vidi poi sul terreno nelle vicinanze un mantello che forse apparteneva all'esserino. Pensai che il dattilo lo avesse sfilato per fare il bagno nel fosso e vedendolo infreddolito lo asciugai. Quel piccolo essere, tutto contento per il buon gesto che avevo fatto, mi disse: "Grazie puoi tenere il mantello, ti sarà utile".
Lo salutai e lo ringraziai per il dono che mi aveva fatto e mi recai a riempire il secchio alla fonte. Quando arrivai trovai seduta sul bordo del pozzo la dea della saggezza che mi disse: "Porgerai quel mantello che ti è stato donato a chi ritieni possa meritarlo". Pensai che avrei potuto anche tenerlo; avrei potuto farne un copriletto, ma era troppo corto, avrei potuto farne un berretto, ma era brutto, di color marrone...
A quel punto mi rassegnai e continuai il mio cammino. Ad un certo punto un colpo di vento strappò dalle mie mani il mantello che andò ad impigliarsi tra i rami di una vecchia quercia vicino ad una capanna. Incuriosita bussai alla porta, ma, dal momento che era aperta, entrai. Vidi un vecchio signore, aveva la carnagione pallida, gli occhi infossati, i capelli bianchi, sembrava avesse la febbre visto che batteva i denti.
Andai a cercare una coperta per tenerlo al caldo, ma quella che trovai non bastava, il vecchietto continuava a tremare. Mi recai allora nel fienili per cercare una scala di legno che trovai, rotta e un po'impolverata in un angolo. Decisi di usarla ugualmente e la appoggiai alla grande quercia per recuperare il manto che mi era sfuggito. Lo presi pensando che non avrebbe scaldato molto, ma quando lo appoggiai sul corpo del vecchietto il suo viso riacquistò un bel colorito. In quel momento capii ciò che mi voleva dire la dea della saggezza. Bisogna dare ciò che serve a chi ne ha bisogno.


LA COLLANA DELLA SPERANZA

Un giorno Macalea decise di andare a camminare lungo la spiaggia. Vide alcuni pescatori cretesi che stavano sistemando le loro reti seduti sugli scogli. La figlia di uno di quegli uomini sedeva vicino a loro triste e sconsolata. Macalea le chiese quale problema avesse e la bambina disse che aveva perso la speranza. Macalea però conosceva il cuore di quella ragazzina e sapeva che aiutava molte persone così decise di metterla alla prova.
La prima sfida a cui Macalea sottopose la bambina fu quella della sincerità, poi arrivò il compito di aiutare le persone in difficoltà e, alla fine, la sfida di soccorrere tutti gli animali feriti.
La ragazzina superò tutte le prove e così Macalea le donò la collana della speranza. 






IL TITANO DELLA FORESTA

Dopo le loro incredibili avventure Fulminius e Zaptos si recarono nel bosco per cercare dei funghi. Quel giorno ne raccolsero moltissimi e Fulminius, soddisfatto, si appoggiò ad un albero. Proprio in quel momento l'arbusto si mosse: era l'adreide della foresta! Aveva le sembianze di un uomo, ma era avvolto da foglie e rami che, come serpenti, si snodavano lungo tutto il suo corpo.
L'adreide della foresta disse: "Fulminuis vendicherò la morte di mio padre Adros...! Il figlio di Zeus senza esitare incoccò una saetta e la scagliò verso il petto del mostro. 
L'adreide cadde a terra e dal suo ventre uscirono mille dattili a forma di fungo che si avventarono su Fulminuis. Il fido Zaptos, furente e velocissimo, li azzannò tutti.
"Zaptos, come farei senza di te..." disse Fulminuis




L'AQUILA DI FUOCO

Un giorno Fulminius scalò il monte Ida e vide uno strano nido. Immediatamente un'aquila di fuoco, con grandi artigli di ferro  e piume ardenti lo attaccò. Era un adreide dell'aria!
"Non riuscirai a sconfiggermi!" urlò Fulminius. L'aquila piombò sull'eroe che la evitò con un grande balzo. Gli artigli dell'adreide distrussero la roccia dopo l'impatto. 
Fulminius prese il suo arco e scagliò una delle sue saette verso l'animale che cadde a terra. "Ti ho sconfitto, miserabile adreide..."
Fu colpito tuttavia alle spalle da una seconda aquila che aveva le piume affilate come le lame di mille spade.
Fulminius, ferito, fuggì sulla sua nuvola seguito da Zaptos e raggiunse il monte Olimpo. Sembravano gli ultimi momenti della sua vita ma Asclepio lo curò con erbe medicinali e Zeus gli affidò una spada forgiata da Efesto. Quando ritornarono le forze Fulminuis si recò sul monte Ida per affrontare il secondo adreide dell'aria. Grazie alla spada di Efesto Fulminius riuscì ad uccidere l'aquila e a tornare sul monte Olimpo insieme a Zaptos come un eroe.  


LA LOTTA SUI COLLI VENTOSI


Dopo le loro incredibili avventure Fulminius e Zaptos si diressero sui colli ventosi per controllare il territorio. Il freddo era talmente pungente che Fulminius e Zaptos dovettero rifugiarsi in una caverna per riscaldarsi. Ad un certo punto il loro fuoco si spense: un enorme uccello con le alidi ferro si parò davanti a loro. Il volatile sbattendo le ali creava dei vortici. Fulminius cercò di fermarli lanciando i suoi fulmini, ma i mulinelli d'aria li bloccavano. Cercando una soluzione Fulminius uscì dalla caverna per trovare un animale da dare in pasto all'adreide. Trovò un orso e cercò quindi di attirarlo nella trappola che aveva preparato. L'adreide dell'aria, vedendo l'orso, si gettò in picchiata per catturarlo. In pochi secondi il volatile uccise la sua preda e incominciò a cibarsi non badando a Fulminius. L'eroe lanciò una delle sue frecce fulminanti e colpì l'adreide che cadde tramortito a terra. Se volete sapere come si concluse la vicenda continuate a seguire le avventure di Fulminius...




LA CAPRA DI GHIACCIO


Un giorno Fulminius, mentre dormiva sul suo giaciglio nell'acropoli abbandonata, sentì il fragore di una valanga che stava scendendo dal monte Noos. Immediatamente Fulminius, accompagnato da Zaptos, volando sulla sua nuvola si recò sulla montagna e vide una capra di ghiaccio che stava congelando con il suo gelido respiro tutti i cacciatori che cercavano di catturarla. Fulminius scagliò una saetta e colpi l'animale che finse di essere stato tramortito. "Adesso non gelerai più nessuno!", disse Fulminius avvicinandosi alla capra. La belva si alzò improvvisamente e rispose: "Io sono Capricornos e nessuno può fermarmi".
Fulminius notò qualcosa nell'aspetto di Capricornos che gli sembrava familiare e capì che era un adreide. Incominciò così a combattere. Durante lo scontro Capricornos riuscì ad intrappolare Fulminius e nel momento stesso in cui stava per ferirlo mortalmente con le sue corna, Zaptos scese dal cielo e scagliò dalla sua bocca una saetta che uccise l'adreide del ghiaccio. Fulminius ringraziò il suo fido Zaptos e insieme tornarono all'acropoli.

GUERRA ALLE PENDICI  DELL'ETNA


Fulminius era molto affaticato a causa dei continui scontri con gli adreidi, ma la fine della guerra era ancora lontana. Un giorno Efesto lo chiamò poichè un adreide infestava il suo laboratorio alle pendici dell'Etna. Il mostro era fatto di magma ed aveva delle corna gigantesche. L'adreide stava distruggendo tutta la Magna Grecia con la sua lava e l'aiuto delle Erinni.
Fulminius scagliò una saetta verso il capo dell'adreide che cercò di fuggire verso le coste dell'Etruria. Il grande eroe, figlio di Zeus, riuscì tuttavia a fermare il titano grazie ad un colpo di martello che spinse l'adreide verso il mare. Cadendo in acqua il mostro si raffreddò per poi scomparire nelle profondità marine.


IL COLOSSO DI PIETRA

Fulminius, insieme al padre, stava volando sopra la sua nuvola quando, essendo sceso a terra per prendere del vino da Dioniso, sentì un forte terremoto. Mentre Zeus radunava tutti gli abitanti sopra una nuvola per portarli in salvo, Zaptos fiutò una traccia e condusse Fulminius all'ingresso di una caverna. I due entrarono, ma dopo alcuni istanti l'eroe si accorse che il fedele compagno a quattro zampe era scomparso. Fulminius si precipità nei cunicoli della grotta e improvvisamente sente un latrato. L'eroe decise di andare nella direzione del suono e trovò così un colosso di pietra che sbatteva violentemente contro le pareti della caverna ad ogni passo facendo tremare la terra. Zaptos stava lottando contro l'adreide della roccia, ma era in difficoltà. Fulminius, rendendosi conto della terribile forza del colosso, uscì correndo dalla grotta per andare a chiedere aiuto a Zeus. Il re degli dei giunse poco dopo e, insieme al figlio, formò una saettà potentissima che Fulminius scagliò contro il colosso che si sgretolò in mille pezzi. Fu così che cessarono i terremoti in tutta la Grecia.