LA CONGIURA DEGLI EGUALI
La Rivolta degli Eguali nel 1796, guidata da Gracco Babeuf, Filippo Buonarroti e Augustin Darthé fu l'anticipazione della Comune del 1871 e del comunismo russo.
Gli Eguali insorsero per instaurare la “reale uguaglianza".
La loro visione politica era incentrata sulla sovranità popolare e sulla democrazia diretta. Si rifecero, però, anche a Rousseau,
con il quale condividevano la visione di uno Stato che ponesse le basi
per una ridistribuzione della ricchezza, riformando profondamente
l'apparato statale. Tuttavia volevano abolire anche l'ultimo tassello
della disuguaglianza umana: la proprietà privata
LA COMUNE
Sconfitta dai tedeschi di Bismarck, la Francia si trovò divisa. Napoleone III fu allontanato. Mentre il governo nazionale era nelle mani di Thiers (che dall’agosto ’71 fu nominato anche presidente della Repubblica), a Parigi infuriava una rivoluzione democratico-socialista. L’Assemblea nazionale (riunita a Bordeaux) e l’esecutivo intervennero imponendo alla città la consegna dei cannoni.
I Parigini, allora, si sollevarono dando vita alla Comune (marzo-maggio 1871). In aprile e maggio si combatté una guerra civile culminata nella settimana di sangue (21-28 maggio) in cui un esercito governativo comandato da MacMahon fece più di 20 000 vittime. Tra tentativi di restaurazione monarchica (1873, a opera del duca di Chambord), l’emanazione di una Costituzione (1875) destinata a restare in vigore fino al 1940, il varo di leggi di grande utilità sociale (istruzione, libertà di stampa e riunione ecc.), un tentativo di colpo di Stato di destra fallito (lo guidò il generale Georges Boulanger che, accusato di tradimento, si suicidò nel 1891), scandali politici (affaire Dreyfus, 1894) e stagnazione economica, il Paese giunse all’inizio del nuovo secolo affetto da tensioni preoccupanti.
IL MARXISMO
Il manifesto del partito comunista. Karl Marx, seguace della sinistra hegeliana, pubblicò insieme ad Engels nel 1848 Il manifesto dei comunisti con
l'intento di gettare le basi per una nuova concezione del socialismo.
La visione marxista della società pone in forte antitesi i capitalisti (gli oppressori, depositari di ragguardevoli somme di denaro e amministratori dei mezzi di produzione) ed i lavoratori (gli oppressi, le grandi masse povere e proletarie che affollavano le grandi città industriali europee).
La teoria del valore-lavoro. Fondamento principale della costruzione di Marx è la teoria del valore lavoro: la teoria per cui il valore di scambio di una merce è dato dalla quantità di lavoro mediamente impiegato per produrla. Il lavoro stesso è una merce e
come tale viene comprato e venduto sulla base del valore-lavoro che
esso contiene (ossia dei costi relativi alla formazione e al
sostentamento dell'operaio).
La caratteristica principale della merce-lavoro è di produrre un valore
superiore ai propri costi di produzione, di rendere, insomma, di più di
quanto non costi.
L'imprenditore che, assumendo salariati, acquista sul mercato il lavoro (la forza-lavoro secondo la terminologia di Marx) e vende il prodotto di questo lavoro, realizza così un profitto. In questo modo si forma il capitale che si accumula e cresce su se stesso mediante l'impiego di nuova forza lavoro.
Il destino del capitalismo.
Il capitalismo, secondo Marx, è destinato a fallire perché, man mano
che si sviluppa, produce i germi della sua dissoluzione. La
concentrazione del capitale in poche mani si accompagna alla formazione
di una classe proletaria sempre più numerosa e sempre più povera.
Alla tendenza espansiva insita nello sviluppo capitalistico (più macchine, più investimenti, maggiore produzione) fa riscontro l'incapacità del sistema di allargare in proporzione l'area di assorbimento dei suoi prodotti (di
qui le periodiche crisi di sovrapproduzione o crisi cicliche). Infine
alle forme sempre più organizzate della produzione industriale si
contrappone il carattere anarchico della concorrenza.
Sono dunque le stesse leggi della produzione capitalistica a determinare la crisi finale del sistema.
Le soluzioni proposte da Marx. Per risolvere i problemi del capitalismo Marx propone tre interventi principali: 1)
l'abolizione della proprietà privata 2) la condivisione dei mezzi di
produzione 3) l'abolizione di ogni forma di religione considerata dal
filosofo tedesco come un'illusione utile alla classe dominante per
controllare le classi inferiori e giustificare così il proprio potere.
Questi interventi nella visione marxista avrebbero dovuto verificarsi
tramite una rivoluzione proletaria necessaria per impedire alla società
di collassare.
Secondo il pensiero marxista la rivoluzione avrebbe avuto due fasi. In un primo tempo, grazie alla dittatura del proletariato, il
modello di produzione sarebbe rimasto capitalista, ma con una
distribuzione del reddito più ampia mentre in seconda istanza si sarebbe
giunti ad una società senza classi
La Prima e la Seconda Internazionale
Mentre fiorivano in Europa le teorie socialiste, nascevano nuove importanti organizzazioni in difesa dei lavoratori non più limitate agli ambiti nazionali. Il 28 settembre 1864 a Londra fu fondata l’Associazione Internazionale dei Lavoratori (AIL) meglio nota come Prima Internazionale.
In essa confluirono molteplici tendenze: dai mazziniani italiani ai seguaci di Blanqui e Proudhon, agli anarchici, ai sindacalisti inglesi. Estensore del programma e dello statuto dell’Associazione fu Marx: i lavoratori dovevano liberarsi da soli dal giogo padronale, impadronirsi
dei mezzi di produzione e dar vita a una collaborazione internazionale contro la guerra.
Dopo un primo contrasto tra marxisti e proudhoniani, risoltosi a favore dei primi nel 1871 (Congresso di Basilea), l’Internazionale entrò in crisi a causa della violenta polemica tra marxisti e anarchici di Bakunin.
I seguaci del russo, contrariamente ai marxisti, ritenevano che il nemico da sconfiggere fosse lo Stato e non il capitalismo.
Vi fu una scissione nell’Internazionale che ne provocò l’indebolimento: nel 1876, al Congresso di Philadelphia, fu infatti sciolta. La Seconda Internazionale, fondata a Parigi nel 1889, restò una sorta di libera federazione tra gli autonomi gruppi socialisti nazionali. Essa auspicava la formazione di veri partiti socialisti nei singoli Paesi non legati in alcun modo alla borghesia.
La Chiesa e il socialismo
Di fronte all’avanzata di socialismo e liberalismo, papa Pio IX, passato dalle simpatie per il neoguelfismo all’estrema difesa dei dogmi della Chiesa dopo le guerre d’indipendenza italiane, assunse un atteggiamento di chiusura totale. Per questo, senza poggiare sull’autorità di un Concilio ecumenico, stabilì d’autorità il dogma dell’Immacolata Concezione (1854), favorì le tendenze ultramontaniste (fondate sul riconoscimento della supremazia di Roma) in Francia e in Germania, con un’attenta politica di nomina dei vescovi, e lasciò che i Gesuiti, per il loro attivismo, la cultura e la ferrea disciplina, diventassero uno dei pilastri della Chiesa.
Nel 1850 fondò la rivista “Civiltà Cattolica” destinata a diffondersi enormenente tra i credenti. Nel 1864, in appendice all’enciclica Quanta Cura, pubblicò il Sillabo, cioè un elenco di proposizioni condannate dalla Chiesa. Tra queste, rilevanti le voci inerenti alla libertà religiosa, al liberalismo e al socialismo.