Dante e i templari

 

 

 

 


DANTE ERA UN CAVALIERE TEMPLARE?

 

Un dibattito ancora aperto. Gli studiosi di letteratura italiana e gli storici si interrogano da tempo sull'appartenenza o meno di Dante all'ordine dei cavalieri templari. 

Da un lato ci sono coloro che negano che il sommo poeta sia stato legato all'ordine del Tempio e sul fronte opposto si trovano stravaganti studiosi che vedrebbero Dante affiliato addirittura ad una setta segreta (simile alla massoneria).

 

I Fedeli d'amore 

 

Nel sonetto dantesco A ciascun’alma, il primo accolto nella Vita Nova (III), il giovane poeta ci informa di essere stato colto nella sua stanza “da un soave sonno” dopo aver incontrato diciottenne (era quindi il 1283) per la secondo volta “la gloriosa donna de la mia mente, la quale fu chiamata da molti Beatrice”.

Svegliatosi, aveva composto un sonetto e lo aveva inviato alla ristretta cerchia di coloro che egli chiama tutti li Fedeli d’Amore. Guido Cavalcanti e Lapo Gianni principalmente, pregandoli “che giudicassero la mia visione”. La quale era terribile: Dante aveva sognato il loro “signore”, cioè Amore personificato, in quale teneva fra le braccia “madonna” (cioè Beatrice) addormentata e in mano il cuore di Dante stesso, ardente; e, svegliatola, la costringeva spaventata a mangiarlo. Il “cuore ardente” e il “cuore mangiato”.

 

Primo errore: I sostenitori dell'adesione ad una setta segreta

 

Durante il secolo XIX Dante e il suo richiamo ai “Fedeli d’Amore” (ormai divenuto un gruppo penitenziale esclusivo e segreto) era stato reinterpretato in modo tanto originale quanto obiettivamente mistificatorio da un professore liceale di filosofia, Luigi Valli (1878-1931), il quale aveva reinterpretato il misticismo politico laicista “ghibellino” di Ugo Foscolo e di Dante Gabriele Rossetti appoggiato perfino dal colto poeta Giovanni Pascoli

Era così nata la “setta” medievale dei “Fedeli d’Amore”, oscuramente collegata al catarismo (movemento medioevale che sosteneva la povertà assoluta), al templarismo e alla leggenda della massoneria, alla quale avevano fornito credibilità gli stessi scritti dell’esoterista René Guénon.


Secondo errore: Gli studiosi che negano l'esistenza dei Fedeli d'Amore

 

Studiosi come Garin, Viscardi e Sapegno si sono impegnati, con diversi documenti, nel negare l'esistenza dei “Fedeli d’Amore”.

Lo storico Franco Cardini giustamente sottolinea il fatto che Dante non avesse una conoscenza approfondita di Platone, il filosofo greco antico che considerva l'amore come la via maestra per giungere al divino. Questo impedisce al poeta di appartenere ad una setta platonica che pone proprio questo sentimento al centro di una via per giungere a Dio, ma non esclude il fatto che Dante possa essere stato un cavaliere templare.


I Fedeli d'amore non sono una setta, ma un gruppo di cavalieri templari


Come possiamo dire che Dante appartenesse all'ordine templare o ad un gruppo cavalleresco congiunto?

Gli indizi che ci lasciano intendere il fatto che Dante fosse legato ai Templari sono di natura storica (il casato degli Alighieri), letteraria (i versi di Dante nella Divina Commedia) e soprattutto filosofico-teologica (Dante segue S.Bernardo di Chiaravalle l'autore della regola dell'ordine dei Templari).



Il casato degli Alighieri 

 

Nel Medioevo non era abitudine comune tramandare il cognome. Tale usanza prenderà piede solo più avanti. Negli atti notarili, ad esempio, si era citati solamente per nome. Solamente le persone appartenenti alle famiglie nobili o molto ricche potevano essere nominate come appartenenti ad esempio ai "Cerchi", o ai "Donati".

Sappiamo dai documenti che quella degli Alighieri era una famiglia nominata nei documenti. Facevano i prestatori (piccoli banchieri) e potevano vantare una nobile discendenza che Dante si preoccupa di far conoscere sottolineando nella Commedia il valore del cavaliere  Cacciaguida.

Costui aveva partecipato alla seconda crociata ed è probabile che abbia permesso alla sua famiglia di avviare commerci ed affari con l'ordine templare (grazie a questi il giovane Dante riesce a procurarsi testi arabi le cui influenze sulla Commedia ormai sono note). Nel Paradiso appare tra le anime dei combattenti per la fede e la sua figura è protagonista di ben tre canti. L'antenato del sommo poeta ricorda l'antica Firenze e i costumi sobri e santi della città di quei tempi. Per salvare l’umanità Cacciaguida affida a Dante la missione di rivelare la volontà di Dio. Una missione dunque profetico-cavalleresca.

Tra Torre della Castagna e Palazzo della Lana 




I templari nella Commedia  

 

Dante attacca Filippo il bello e papa Clemente V, non risparmiando loro critiche feroci:
 

Inferno XIX vv. 82-84:
ché dopo lui verrà di più laida opra
diver’ ponente, un pastor sanza legge,
tal che convien che lui e me ricuopra

 

Qui vediamo Dante definire pastor sanza legge Clemente V, successore di Bonifacio VIII in simonia.
 

Purgatorio XX vv. 91-96:
Veggio il nuovo Pilato sì crudele,
che ciò nol sazia, ma sanza decreto
porta nel Tempio le cupide vele

 

Qui Ugo Capeto parla del suo discendente, come del nuovo Pilato: Filippo il bello; che come il personaggio biblico per salvaguardare i propri interessi non si fa scrupoli a depredare il Tempio. Qui si allude esplicitamente all'accusa di eresia che il sovrano utilizzò nel 1307 per depredare  l'ordine religioso-cavalleresco dei suoi beni.

Il papa Clemente V che aveva tacitamente consentito al sopruso, emanò la condanna definitiva per eresia e il decreto di soppressione dell'ordine solo nel 1312, al concilio di Vienna, disponendo nel contempo che le ricchezze dei Templari fossero devolute agli Ospitalieri. Intanto però Filippo il bello non aveva pagato i debiti che aveva con i Templari i quali fino alla vigilia del processo erano stati i suoi banchieri. Dante continua:


Purgatorio XXXII vv. 148-153
Sicura, quasi come rocca in alto monte,
seder sovr’esso [...]
m’apparve con le ciglia intorno pronte;
e come perché non li fosse tolta,
vidi di costa a lei dritto un gigante;
e baciavansi insieme alcuna volta
.

 

Addirittura Dante definisce meretrice la chiesa degradata e descrive il suo rapporto infausto con il re di Francia che è descritto come un gigante. 

Dante “omaggia” poi Filippo il bello con un'ultima delle sue profezie (in realtà cronaca dei fatti storici a cui il poeta assiste):
 

Paradiso XIX vv. 118-120
Lì si vedrà il duol che sovra Senna
induce, falseggiando la moneta,
quel che morrà del colpo di cotenna
.

 

Parafrasi: Si vedrà il doloroso danno che, falsificando la moneta, arrecherà alla Francia Filippo il bello che morirà in seguito all'urto di un cinghiale.

Questi versi ci lasciano intendere che Dante simpatizzasse con l'ordine e disprezzasse i nemici dei Templari, ma non ci dicono nulla sulla sua eventuale adesione alla regola dei cavalieri. 
L'adesione alla filosofia che anima l'ordine cavalleresco è più chiara solo se si guarda, infatti, alla figura di S.Bernardo di Chiaravalle





La figura di S.Bernardo di Chiaravalle


Bernardo di Chiaravalle, insieme a San Tommaso e San Bonaventura, è il religioso a cui Dante fa più riferimento.


Nella Divina Commedia il sommo poeta trova san Bernardo in Paradiso, di fronte alla candida rosa dei beati, come guida per l'ultima parte del suo viaggio, in virtù del suo spirito contemplativo e della sua devozione mariana. Questo però non esaurisce la sua funzione dal momento che questi è anche, come vedremo, il patrono dei Templari.


Bernardo scrive la regola dei Templari. Nel 1119 alcuni cavalieri, sotto la guida di Ugo di Payns, feudatario della Champagne e parente di Bernardo, fondarono un nuovo ordine monastico-militare, l'Ordine dei Cavalieri del Tempio, con sede in Gerusalemme, nella spianata ove sorgeva il Tempio ebraico; lo scopo dell'Ordine, posto sotto l'autorità del patriarca di Gerusalemme, era di vigilare sulle strade percorse dai pellegrini cristiani. L'Ordine ottenne nel concilio di Troyes del 1128 l'approvazione di papa Onorio II e la sua regola è stata ispirata da Bernardo, il quale scrisse, verso il 1135, l'Elogio della nuova cavalleria (De laude novae militiae ad Milites Templi).


Bernardo compare nel Canto XXXI del Paradiso come allegoria dell'estasi beatifica, situata al culmine dell'ascesi verso Dio. Dante è stato accompagnato da Beatrice, simbolo della fede, fin nell'Empireo e contempla la Mistica Rosa dei beati e degli angeli. Si volta per porre una domanda a Beatrice ma si accorge che questa è scomparsa e che al suo posto c'è un sene (un anziano), Bernardo. Egli invita il poeta a osservare la cima della Rosa, nella sede più luminosa di Maria Vergine. 


Scrive il santo nel testo: In lode della nuova milizia: 

Vediamo anche Nazareth, il nome della quale è interpretato come “fiore”; in essa fu nutrito il Dio fanciullo che era nato a Betlemme, così come il frutto si forma sul fiore: affinché il profumo del fiore precedesse il sapore del frutto ed il succo santo, che i Profeti odorano, si riversasse nella bocca degli Apostoli. Gli Ebrei si accontentarono del sottile profumo, i cristiani si sono però saziati con l’alimento solido [...] La veste dello spirito è la lettera, carne del Verbo. Ma gli Ebrei neppure ora riconoscono né il Verbo nella carne né la divinità nell’Uomo né intravedono il significato spirituale sotto il senso della lettera.


Nel De diligendo Deo, San Bernardo continua la spiegazione di come si possa raggiungere l'amore di Dio, attraverso la via dell'umiltà. La sua dottrina cristiana dell'amore è originale, indipendente dunque da ogni influenza platonica e neoplatonica. Secondo Bernardo esistono quattro gradi sostanziali dell'amore, che presenta come un itinerario, che dal sé esce, cerca Dio, e infine torna al sé, ma solo per Dio. I gradi sono:

  • 1) L'amore di sé stessi per sé:

«[...] bisogna che il nostro amore cominci dalla carne. Se poi è diretto secondo un giusto ordine, [...] sotto l'ispirazione della Grazia, sarà infine perfezionato dallo spirito. Infatti non viene prima lo spirituale, ma ciò che è animale precede ciò che è spirituale. [...] Perciò prima l'uomo ama se stesso per sé [...]. Vedendo poi che da solo non può sussistere, comincia a cercare Dio per mezzo della fede, come un essere necessario e Lo ama.»

  • 2) L'amore di Dio per sé:

«Nel secondo grado, quindi, ama Dio, ma per sé, non per Lui. Cominciando però a frequentare Dio e ad onorarlo in rapporto alle proprie necessità, viene a conoscerlo a poco a poco con la lettura, con la riflessione, con la preghiera, con l'obbedienza; così gli si avvicina quasi insensibilmente attraverso una certa familiarità e gusta pura quanto sia soave.»

  • 3) L'amore di Dio per Dio:

«Dopo aver assaporato questa soavità l'anima passa al terzo grado, amando Dio non per sé, ma per Lui. In questo grado ci si ferma a lungo, anzi, non so se in questa vita sia possibile raggiungere il quarto grado.»

  • 4) L'amore di sé per Dio:

«Quello cioè in cui l'uomo ama se stesso solo per Dio. [...] Allora, sarà mirabilmente quasi dimentico di sé, quasi abbandonerà se stesso per tendere tutto a Dio, tanto da essere uno spirito solo con Lui. Io credo che provasse questo il profeta, quando diceva: "-Entrerò nella potenza del Signore e mi ricorderò solo della Tua giustizia-". [...]»